martedì 16 novembre 2010

Appunti di lettura nel tempo vacuum di un soggiorno nella culla della civiltà Mediterranea.

In questi alcuni giorni di vacanza,nella tranquilla cornice di un paesino Cretese tra colline e mare, mi è riuscito di leggere qualche libro che ho portato con me.
Giudico il primo, “Anatomia dell'irrequietezza”, che è giusto lo strisciante sentimento che mi si agita dentro per quanto in maniera subliminare, di Bruce Chatwin, inaspettatamente interessante.
Avevo letto altri suoi scritti e, fin dal primo, mi sono incuriosita e appassionata.
E' morto qualche anno fa ancora giovane, e si può dire perciò che, relativamente alla sua non lunga vita,  abbia davvero prodotto molto. Ha trattato temi vari perlopiù antropologico-culturali, con profondità e attenzione particolarissime, frutto delle sue esperienze di vagabondaggio in posti lontani : tra gli Aborigeni dell'Australia esplorando le Vie dei Canti con cui queste popolazioni di indole mite definiscono invisibili quanto precise mappe di conoscenza di quegli immensi territori perlopiù desertici; ai confini del mondo nella lontana Patagonia; fino a Timbuctù o lungo le antiche strade dei Tuareg, dei Caucasici o di altri nomadi come lui.
Ma in questo libro, il suo penultimo credo, mi hanno stupita non poco alcune “recensioni”che vi sono raccolte:  non tanto quella su Konrad Lorenz del quale conoscevo le alcune contraddizioni,quanto quella su Stevenson e più ancora su Axel Munthe sui quali ha gettato il discredito o, più verosimilmente, dei quali ha criticamente descritto anche “the dark side”.
Forse tutti noi, dopo tutto, abbiamo zone d'ombra e sembra inevitabile che sia così (sto pensando alla morale di Calvino ne il suo "Visconte dimezzato"). Eppure mi dispiace e credo che la mia anima romantica saprà cancellare l'eresia dissipando presto o tardi queste sgradevoli ombre che offuscano almeno due miei amatissimi miti, soprattutto il Dr. Munthe, leggendaria figura di nobile e generoso medico, strenuo difensore della vita e della salute anche dei più piccoli e bersagliati tra gli animali: le allodole.
E ancora, fa parecchio riflettere sulla necessità, per l'uomo, del viaggio.
Viaggio come esplorazione (dopotutto è mediante questa che si sviluppa la prima forma di intelligenza), come mobilitazione della curiosità (anche se nella sola memoria biografica come fu per Proust), dell'immaginazione e del dinamismo.
Dice che dal momento che l'adrenalina l'abbiamo tutti e l'abbiamo sempre, tanto vale tenerla opportunamente in circolo in modo innocuo e possibilmente piacevole, piuttosto che costretti, se altrimenti privati dei pericoli e delle asperità della vita, ad inventarci nemici artificiali come : malattie psicosomatiche, impegni e burocrazie varie, tasse e scadenze e, peggiore fra tutti, noi stessi, pensieri ruminanti e insoddisfazioni latenti incluse.
Quando siamo costretti a lungo nelle situazioni di monotonia, routine,  regolarità di impegni che inesorabilmente finiscono col produrre apatia, nevrosi, scontentezza, fino al disgusto di sé e allo spleen, rischiamo quella che Baudelaire definisce la malattia dell' “horreur du domicile”o quella che Tolstoj descrive come l'ultima, estrema, addolorata consapevolezza di Ivan I'lič morente.
Allora: se penso a me e a questo mio nomadismo stagionale (per quanto non si possa ravvisare una grande analogia tra me, chessò, la sterna artica), dovrei forse soltanto rallegrarmi anche quando, come oggi, mi dolgono perfino le ossa. Anche se, quella che chiamo la mia vacanza, diviene, dopotutto, solo “un cambiamento di fatica” (per usare parole di un mio buon amico divenuto ora scrittore d'un certo successo).
E forse non è vero quello che sosteneva mio nonno Mariano che “lavorare è fatica, la fatica fa male e il male fa morire”, perchè, così sembra, ...c'è fatica e fatica.
La fatica, inoltre, come opportunamente osserva Erri De Luca, avendo tradotto autonomamente in maniera assai più corretta e, soprattutto, non capziosa, il passo biblico “e tu donna partorirai con fatica (sforzo)”, è l'unica fonte di umana soddisfazione.
Se scrivo tutto questo, infine, non si pensi che trarrò utili, proventi, provvigioni o percentuali da un'agenzia viaggi.
E' solo che Creta è bella e... val bene un viaggio, per quanto discretamente impegnativo.

domenica 14 novembre 2010

1 parte: Aspettando la Pasqua Ortodossa (Creta: 25 aprile 1997)

Eccoci qui dopo un'intera giornata di viaggio e una notte di sonno buono mentre la gatta esplora prudentemente i terrazzi attorno.
Tutto è novità per lei ancora giovane. La vedo seguire impercettibili piste odorose e fermarsi a fiutare l'aria in direzione del mare, immobile con gli occhi ben chiusi in un'espressione concentrata che non le conosco.
Frotte di rondinelle con il capino rosso-mattone girano infaticabili sopra le nostre teste già piacevolmente appesantite dal sole.
Non è ancora mezzogiorno e ciascuno dei miei vicini, quelli stabili e gli altri arrivati come noi per la Pasqua Ortodossa, attende alle proprie faccende : quel marcantonione dal carattere iracondo (lo sento belare quando si rivolge al figlioletto e tuonare alla figlioletta) abbevera le cascate verdi delle sue fioriere; la Tedesca stende i panni; Maria sgrana le fave; il vecchio Stèlio, ora che gli è mancata la sua brava Sofia, provvede alle sue necessità sempre più lento; un bambinetto cimenta la sua perizia, émulo di Maradona o Costacurta, sfogando energia e intemperanze su un tetrapack vuoto di aranciata; e la nonnina attende, seduta al margine della strada, attende e basta.

2 parte: Pasqua a Creta

La notte di Pasqua , si celebra la Resurrezione (anàstasi) secondo un'antica e complessa liturgia.
Quest'anno(1997) le popolazioni dei due paesini, il nostro e quello qui sopra di Kutufianà, si uniscono nella chiesetta di quest'ultimo sulla sommità della collina; l'anno venturo sarà il contrario.
La messa incomincia mezz'ora prima della mezzanotte. Lentamente la piccola chiesa si va stipando.
Entrano pie donne attempate, perlopiù vestite di nero, e si segnano svelte accennando a una genuflessione.
Entrano famigliole abbigliate a festa con pargoli anche neonati. Giovani mamme vestono in lungo,infilate in succinti modelli assai poco parigini color rosso-fiamma e oro.
Sotto al voltino color cielo pallido picchiettato di stelle oro-chiaro, tutti stringono tra le mani una candela. Più sono piccoli più il cero è grosso, lungo, variopinto e variamente agghindato.
La cosa buffa è che ogni bambino brandisce un cero a cui è legato con grossi nastri un giocattolino, qualcosa come la sorpresa disvelata del nostro uovo di cioccolato. Senza nessuna fantasia, ogni bambina vi sfoggia una Barbie;chi bionda, chi rossa, chi bruna. (Li hanno comperati in giornata nei negozi “del centro”, dal cartolaio, al market e anche dal pasticcere).
Il rito procede monotono come il perenne accompagnamento vocale, ma con scarso raccoglimento.
Tutti,o poco o tanto, chiacchierano.
I bambini giocano; qualche monello (albanese?) minaccia invisibili nemici imbracciando il cero a guisa di Kalashnikov e qualche piccolino protesta con alti strilli finchè il papàs (prete) esce fuori dalla porta laterale, lentamente seguìto da tutti che finiscono con l'ammassarsi nel cortiletto adiacente.
Qui comincia la bagarre. Si sparano petardi contro l'effige di Giuda stupefatto, immoto quanto inerme spaventapasseri, e tutti sono invitati a infierirvi contro con il massimo accanimento.
I bòtti spaventano a morte i più piccoli e divertono pazzamente gli altri.
Bruciate anche le ultime polveri, quando del traditore non resta che uno scheletro fumigante,lo sciame rientra e riprende posto sugli alti scanni laterali di legno scuro o sulle seggiole impagliate,le stesse dei cafenìon, sotto ai solenni lampadari, luccicanti nei loro tanti bracci dalle tante candele e gocce di simil-cristallo.
Per ultimo il prete ,trovando la porta ormai chiusa e picchiandovi sopra fragorosamente per accertare che il Diavolo non lo abbia anticipato nell'ingresso, verrà fatto finalmente entrare dal chierico. Insieme, riprenderanno le lodi,un po'stonate, al Signore, pensando forse ciascuno al cenone che li attende. Si mangerà fino alle due ed oltre.
Il giorno appresso è Pasqua e i grassi agnellini hanno smesso di belare. Girano pazientemente nei cortili di ogni abitazione, infilati in lunghi spiedi grazie al lavoro di una piccola scatola elettrica che ne accompagna il moto con il suo lieve brusìo, costante e infaticabile nelle sei o sette ora di di cottura.
Nel loro perpetuo sfrigolìo sopra al braciere rosseggiante nell'ampia buca di terra, sprigionano vortici di fumo denso e chiaro dall'aroma irresistibile.
Intanto, i nostri generosi ospiti apparecchiano la lunga tavolata arrangiata in giardino sull'impiantito di cemento che circonda la solida, grande, vecchia casa di campagna protetta: qui dalla chioma d'un annoso gelso che comincia ora a rinverdire, lì da una pergola di vite, e circondata tutt'intorno da un'esplosione di fiori e di verde smagliante.
Il coro delle voci, le chiacchiere sommesse e pacifiche dei nonni (ne conto sei o sette), le grida festose dei bambini che si rincorrono (sembrano un esercito), le esclamazioni esultanti e golose di chi bada agli spiedi o tagliuzza cicorie, le balbettanti rimostranze di una bimbetta legata al suo enfant-sit, lo schiocco dei bicchieri sollevati in pericolosi quanto anticipati brindisi, gli schiamazzi esuberanti di un'orda selvaggia impegnatissima tra una disordinata partita a pallone e un nascondino sleale (a volte vengono nascoste anche le bambole), tutto prelude ad uno sfrenato baccanale i cui echi lentamente si spegneranno soltanto verso sera quando le brezze odorose dei fiori di maggio si faranno più fresche e i convenuti lasceranno la collina col passo un po' incerto.


Biennale di Venezia 2010 - People Meet in Architecture

Galeotto fu Passepartout e chi l'ha curato! Non potevo trascurare di dare personalmente perlomeno uno sguardo, per quanto frettoloso, a parte della Biennale Architettura 2010 di Venezia: con un biglietto double, valido per le esposizioni ai Giardini e all' Arsenale.
Ho ancora negli occhi le infinite, potenti suggestioni di allestimenti del tutto seducenti e, talvolta, stupefacenti. Nello straniamento di una Venezia, immota icona caliginosa brulicante di sciami umani variopinti e frotte di imbarcazioni a remi gareggianti coi vaporetti nell'intrico umido dei canali tortuosi, a braccetto con una cara amica di vecchia data, ho goduto delle infinite sollecitazioni di una mostra con la M maiuscola.
Peccato abitare così lontano, peccato che la Mostra vada a chiudere tra pochi giorni, peccato non averci speso almeno due giornate intiere, peccato non aver potuto disporre di un ginocchio sinistro di riserva, peccato...



Gli Spazi dell'Architettura - Passepartout Rai Tre - Biennale di Venezia 2010

lunedì 8 novembre 2010

Incontri prima della nascita "Gemelli si cercano in pancia"

SIAMO animali sociali, ed è facile osservarlo. Fin dai primi gesti di un neonato, che è portato ad imitare le espressioni facciali di chi gli sta davanti già pochi minuti dopo la nascita. Ma quando nasce in noi l'interesse per l'altro? E' possibile trovarne traccia anche prima di venire al mondo? Sembra di sì, stando ai risultati di un nuovo studio italiano che analizza il comportamento di feti gemelli nell'utero materno, arrivando a concludere che siamo in qualche modo "cablati" per la socialità e che le basi delle nostre interazioni con gli altri potrebbero svilupparsi già diversi mesi prima della nascita. 

Il lavoro dei ricercatori delle università di Padova, Parma e Torino, in collaborazione con l'istituto Burlo Garofolo di Trieste, pubblicato recentemente su PloS One, si è focalizzato sui gemelli nell'utero materno, che, a differenza dei feti singoli, regalano un osservatorio unico e privilegiato per indagare la propensione precoce alla socialità, proprio perché sono in compagnia. Osservandone i movimenti, gli studiosi, coordinati dal professor Umberto Castiello dell'Università di Padova, hanno visto che molto presto, già dalla quattordicesima settimana di gestazione, si verificano nell'utero movimenti controllati e diretti in modo specifico verso il gemello. "Non si tratta di movimenti riflessi o stereotipati. Sono organizzati ed hanno caratteristiche analoghe ai movimenti volontari dell'adulto", spiega Vittorio Gallese, professore di Fisiologia Umana al dipartimento di Neuroscienze dell'università di Parma, co-autore dello studio, insieme a Cristina Becchio, dell'università di Torino. I piccoli si cercano, e questa caratteristica diventa ancora più evidente quattro settimane dopo, quando i movimenti verso l'altro diventano più frequenti rispetto a quelli verso sé stessi. 

Usando l'ecografia quadridimensionale, una tecnica particolare che permette di visualizzare anche il movimento nel tempo, si sono "registrate" cinque coppie di feti gemelli in due precisi momenti, a 14 e 18 settimane. Si è visto che fin dalla 14esima settimana di gestazione i gemelli sono capaci di controllare i loro gesti in modo differente a seconda di dove questi siano diretti. Si toccano, si esplorano e lo fanno in modo estremamente delicato, più preciso rispetto a quando toccano sé stessi o la parete uterina.

"Uno dei parametri che permette di valutare la finezza del movimento è la decelerazione quando si sta per raggiungere l'obiettivo", dice Gallese. "Tanto più il movimento è preciso, tanto più si decelera per calibrarlo": proprio quello che è stato osservato quando un feto si rivolge verso il gemello. A guardare le immagini sembrano quasi coccole: si accarezzano la schiena, si toccano delicatamente la testa. Di certo, sono consapevoli del proprio vicino e preferiscono interagire con lui o lei. Tanto che a distanza di quattro settimane dalla prima rilevazione, alla diciottesima settimana di gestazione, i movimenti che i gemelli fanno verso l'altro aumentano mentre diminuiscono quelli verso di sé o verso le pareti uterine. Questi contatti con l'altro, poi, durano di più e sono più accurati di quelli rivolti a sé stessi. Anche i singoli feti acquisiscono lo stessa capacità di controllo del movimento, ma in ritardo di circa otto settimane rispetto ai gemelli.

E' la prima volta che si osserva qualcosa del genere ed è un successo tutto italiano, ancora più incoraggiante se si considerano le difficoltà della ricerca in tempi di magra come questi, in Italia. E questa predisposizione alla socialità "in erba" potrebbe rivelarsi utile, in futuro, come parametro per valutare lo sviluppo del feto e divenire spia, in caso di anomalie, di disturbi come l'autismo.

Si era già visto che sin dalla undicesima settimana di gestazione i gemelli stabiliscono contatti fra di loro, sottolineano gli scienziati nella ricerca, ma questo è il primo studio che affronta l'aspetto più critico, se, cioè, questa interazione sia casuale, dovuta alla prossimità spaziale, o invece pianificata. E dimostra che il contatto è frutto di una precisa pianificazione motoria. In altre parole, conclude Gallese, "conteniamo già in noi la dimensione dell'altro. E anche prima della nascita lo cerchiamo, in modo più accurato rispetto a quando non ci rivolgiamo verso di noi".

(Alessia Manfredi, La Repubblica - 8 novembre 2010)