Il femminicidio, fenomeno drammatico
cui si assiste in maniera sempre più preoccupante e diffusa anche il
Italia, è un omicidio di genere (di persona di genere
femminile da parte di persona di genere maschile). Si concretizza
nell'uccisione di persona di sesso femminile da parte di un partner o
di un ex-partner. Rappresenta l' estrema conseguenza delle forme
di violenza pregressa e reiterata nei confronti della
donna vissuta come oggetto d'appartenenza da
parte "del suo
maschio proprietario" come lo ha definito Massimo
Gramellini, dopo un costante lavorìo di erosione continua della sua
dignità di persona attraverso il tentativo di negarne la piena
espressione della personalità femminile.
Il femminicidio è un fenomeno diffuso
nel mondo, ove più ove meno, e costituisce la prima causa di morte
delle donne tra i 16 e i 70 anni. Tra i Paesi Europei è in
consistente declino in Spagna dopo che, di recente, si è
provveduto ad arginarlo in maniera opportuna, adeguata e sostanziale.
Non così in Italia,
dove le statistiche testimoniano che, al contrario, non si
registra alcuna decrescita, ma anzi un sensibile
aumento.
Da noi è e resta una tragedia nazionale, dal momento che vi si
registra almeno una vittima ogni due-tre giorni
(parliamo di un totale di 137 nel corso del 2011 contro le 61
della Spagna). Una vera e propria piaga, di proporzioni così
spropositate e indegne per un Paese civile, da aver indotto il
Consiglio per i Diritti
Umani dell'ONU , riunitosi a Ginevra il 25/6/2012, ad intervenire
con una precisa Dichiarazione nei confronti del nostro Paese.
Lo ha fatto stilando un documento in
cui si dichiara che esso costituisce "un crimine di Stato
tollerato dalle istituzioni pubbliche"
proprio perchè vi ha ravvisato un preciso e diretto rapporto tra la
violenza sulle donne e la complicità e le omissioni dello Stato che,
nell'espressione delle sue Istituzioni e nel quadro di una politica
perlopiù assente, non si dà abbastanza da fare per frenare la
strage.
La recente legge sullo stalking,
seppure quantomai opportuna e utile, non serve a prevenire e
reprimere il fenomeno in oggetto; da sola non si è
rivelata minimamente in grado di arginare la violenza domestica nè
tantomeno di diminuire il numero di questo genere di omicidi.
In Italia dunque il problema resta
grave. In quanto crimine di Stato
tollerato dalle Istituzioni per la loro incapacità a prevenire,
proteggere e tutelare la vita delle donne costrette a vivere durante
l'arco della loro vita diverse forme di discriminazione e violenza,
risolverlo è un obbligo internazionale.
Ciò che si invoca è una maggiore
parità di genere, la prevenzione e protezione delle vittime e la
punizione dei colpevoli.
Guardiamo brevemente alla statistica
Istat del 2006 , vecchia quindi rispetto ai dati odierni ancor più
sconfortanti, per tirare un po' di somme. Essa ci informa che: un
terzo abbondante (31,9%) delle donne che vivono in Italia è stata
costretta a subire violenza fisica e sessuale da
parte di uomini, il 93%
delle violenze è perpetrato da partner o ex partner.
Risulta inoltre che il 35% delle vittime non denuncia,
mentre solo il 13% chiede aiuto, spesso del tutto inutilmente, contro
lo stalking.
L'incrocio di
questi dati certifica per la prima volta la presenza di un fenomeno
sociale, di una violenza endemica nei confronti delle donne come
se fosse naturale, illegale ma legittima, che è anche strutturale.
Esso merita di essere fattivamente arginato, e con urgenza. Il
contesto sociale (culturale, giuridico, istituzionale e politico) non
può pertanto continuare ad implicare la sostanziale impunità e la
"normalizzazione" del fenomeno senza correre il rischio di
legittimare vieppiù il femminicidio.
Circa
le sue radici è stato detto molto. Esso non è frutto di incidenti
isolati, non è l'epifenomeno di una accidentale quanto tragica
conclusione, non è un drammatico incidente, è
piuttosto l'ultimo atto di una serie di violenze continuative e di
volta in volta crescenti, il più efferato.
Il femminicidio
è la forma estrema d'una condotta violenta, che attiene a profonde
motivazioni culturali e a modelli di rapporto tra i generi,
utilizzata quale comportamento abituale perpetrato contro (l'animale
umano) femmina che pone irrimediabilmente fine ad una sequenza di
violenze continuative nel tempo.
Come
recita uno slogan, c'è da dire che "violence is not always
visible". Non sempre lascia lividi o altri segni fisici chiari e
univoci, perlomeno non da subito. Spesso essa si configura
dapprincipio come violenza,
oltre e prima che fisica,
anche morale,
psicologica,
economica e/o
sessuale,
fondata sul ricatto e la vessazione e come tale può perpetrarsi per
un tempo anche lungo. Questo tipo di prevaricazione continuativa
tiene soggiogati mediante la paura.
E' una modalità utilizzata dal maschio per riappropriarsi di un
ruolo al quale sono connessi privilegi, un ruolo socialmente
dominante. La violenza diventa così uno strumento usato contro la
donna che non vuole riconoscere questo potere, legato ad una
gerarchia di rapporti così come era nel passato, nel momento in cui
essa rifiuta la sudditanza. Poco o punto apprezzabile all'esterno,
essa si svolge entro le mura domestiche, solo nel chiuso e nella
privatezza di un rapporto a due.
Di solito
nessuna vittima reagisce alle prime avvisaglie di un comportamento
violento con comportamenti di fuga, allontanamento o ribellione, è
portata piuttosto a perdonarlo o comunque a trascurarlo, confidando
che non si presenti più. Ogni volta spera che sia l'ultima. Spera e
aspetta. Finisce col sentirsi isolata, colpevole di aver
reiteratamente trascurato i segnali per quanto forti e chiari,
colpevole di non essersi ribellata e difesa prima. Teme possibili
critiche sociali, intimamente si rimprovera la propria dabbenaggine e
tantopiù col passare del tempo finisce col temere l'incredulità
altrui di fronte alla "versione di Barney". La sua inazione
diventa sempre più colpevole.
La
sua imbarazzata e imbarazzante paralisi si nutre della "sindrome
da crocerossina", di un istinto di maternage,
di quell' imperativo categorico che suggerisce "io ti salverò"
prima di un più salutare "io mi salverò" e può crescere
se c'è di mezzo un figlio. Si tratta di una sommessa voce demoniaca
che suggerisce di avere fiducia un'altra volta ancora e ancora,
un'incosciente presunzione che ti convince che l'amore può avere
effetti taumaturgici anche sul peggiore dei tuoi carnefici. Scrive
Dacia Maraini nel suo -L'amore
rubato-: "spesso
tra carnefice e vittima si stabilisce un rapporto di complicità,
anche se involontaria.
La vittima vuole proteggere il suo aguzzino per liberarsi dai sensi
di colpa, ..colpa di avere accettato la prima, la più subdola e
inaspettata delle violenze. Da quel momento la distinzione fra i due
si fa sottile e ambigua. La vittima diventa sempre più vittima, il
carnefice sempre più carnefice in un gioco perverso che si avvita su
se stesso. Questo succede... quando il carnefice è una persona che
ci è familiare: la persona che abbiamo amato, di cui ci siamo fidati
e che ci si è rivoltata contro." Dopo che si è speso un
patrimonio sentimentale, e a volte neanche solo quello, ci si ritrova
poveri, anche poveri di spirito, increduli e svuotati di ogni
risorsa, anche della forza per difendersi. E' allora che dovrebbe
sostenerti qualcuno e qualcosa dall'esterno, una diversa cultura,
meglio orientata a riconoscere i segni, più protettiva e
accogliente, più decisa nel segnalare vie di fuga, che non si nutra
degli stessi stereotipi
sessisti di cui la
violenza di genere si alimenta. E' allora che c'è bisogno di misure
istituzionali tese a promuovere uno status di garanzie alle persone
offese che ne rispetti la soggettività femminile. E' allora che si
verifica l'esigenza di misure volte a proteggere la vittima dagli
abusi, fin dai suoi primi rapporti con quei soggetti (forze dell'
ordine, strutture sanitarie,..) cui per primi la donna si rivolge nel
tentativo di chiedere aiuto e a difnderla con norme di carattere
repressivo attraverso modifiche alla disciplina penale (ad es.
l'aggravante per stalking). Insomma, ciò che si rende necessario è
una risposta strutturale e non emergenziale delegata soltanto per
esempio alla legislazione penale.
In
un Paese come il nostro dove fine a 30 anni fa al "maschio
proprietario" era lecito l'uso delle botte quale mezzo per
correggere il comportamento delle donne e dove era lecito il delitto
d'onore, ancora pesa lo strascico culturale di un'impronta
maschilista. Troppo
spesso gli stereotipi e i pregiudizi, ancora sottesi in tradizioni,
istituti, ruoli e realtà sociali attuali, trovano la donna in molti
casi ancora incapace di quella lucida consapevolezza che la
condurrebbe a percepirsi nel suo ruolo di vittima quando questo
fosse. Soggiogata il più delle volte anche da una maggiore fragilità
psicologica che la mantiene passiva, oltremodo indulgente e
tollerante, incline a sopportazione e oblatività come
caratteristiche materne e quindi confacenti con il suo ruolo di
donna, soggiogata troppo spesso da una sudditanza economica e da
condizionamenti e attitudini culturali ancora troppo largamente
diffuse, quando non possa contare sull'efficienza di una rete
istituzionale sufficientemente sistemica e coordinata che la protegga
e la difenda, è destinata a non sapersi e a non potersi difendere.
Fino a che gli omicidi di genere, il femminicidio nella fattispecie,
manterranno le attuali proporzioni e non verranno riconosciuti come
quel fenomeno che Amartya Sen ha definito "genocidio
nascosto", fino a
che continueranno ad essere più o meno sottaciuti quando non
accettati, tollerati o giustificati, essi non si esauriranno, nè
cominceranno mai a segnare una significativa flessione.
Per fermare il
femminicidio c'è bisogno delle "4 P" : prevent,
promote, punish, protect.
Serve un piano
nazionale contro la violenza.
C'è bisogno di
comprendere la necessità inderogabile di una profonda operazione di
trasformazione a favore di una cultura di uguaglianza che rimuova i
falsi stereotipi, le false rappresentazioni dei rapporti fra i generi
e tutte quelle cause di discriminazione nella vita sociale che
legittimano l'idea che l'uomo ha più valore della donna; che
promuova finalmente la parità di genere e dunque il rispetto, anche
attraverso un'educazione sentimentale e sessuale oltre che una nuova
stagione iconografica (TV in primis) che valorizzi e non
mercifichi la donna e il suo corpo. Finchè la società resterà
maschilista, la predominanza del sesso maschile su quello femminile
sarà legittimata.
C'è
bisogno di azioni sul piano politico, operativo, giuridico e
amministrativo che si integrino fra loro in un approccio olistico per
la rimozione delle cause strutturali di discriminazione, oppressione
e marginalizzazione delle donne. C'è bisogno di una maggiore
attenzione (e sanzione) alle violazioni a tutti quei Diritti
fondamentali (al lavoro, alla salute, a una vita libera dalla
violenza, ad una adeguata e più paritaria retribuzione, alla tutela
della maternità, al rafforzamento della previdenza sociale, ecc..)
che sono necessari ad una vita dignitosa e autonoma non
necessariamente satellitare nei confronti di un partner privilegiato
e dominante.
C'è
infine bisogno di un protocollo
di azione di respiro
europeo, ovvero internazionale,
di una guida standard di prevenzione, di indagine e operatività, che
renda sinergicamente coerente, ma anche più agevole e snello
l'intervento delle Istituzioni chiamate, seppure a diverso titolo, a
intervenire nella valutazione del rischio e nella protezione e tutela
delle donne vittime di
violenze e quindi in pericolo di vita.
Sarbbe
auspicabile che divenissero tabù lo schiaffo e ogni parola o azione
di umiliazione e scherno, e che l'impunità smettesse di costituire
la norma.
E' importante
che per prime le donne riconoscano i propri diritti fondamentali e
comprendano la necessità di preservare la dignità essendo essa,
come diceva Hanna Arendt, il diritto ad avere diritti e che si
adoperino per richiederne a gran voce l'osservanza da parte delle
istituzioni chiamate a fronteggiarne di conseguenza anche le
violazioni.
Vorrei che non
fosse vero che "le brave ragazze vanno in Paradiso, le cattive
dappertutto", vorrei almeno che in Paradiso non ci finissero
prima del tempo, per una morte gratuitamente violenta.
Per tutto questo
appare necessario e urgente dare al più presto una risposta
istituzionale alla dichiarazione dell'ONU.