domenica 31 marzo 2013

En attendent le printemps


                                                EN ATTENDENT LE PRINTEMPS

Vado spiando i profumi
Tra l'azzurro e
i bagliori di lamiera,
tra i residui opachi
di immote pozze, certa
dello stupore di una primula
mentre il narciso si cela.

Acquerello


ACQUERELLO



Saltelli snelli di cince allegre.
Allegre ciance da caffetteria.
Improvvisi frulli.
Lieti trilli e
infaticabili grilli.
Lo sbattere ritmico dei panni stesi
ormai arresi
alla furia del mastello.
Vibrar di foglie.
Cicalecci alle soglie.
Sommesso rotolar di tuoni.
Inesausti calabroni.
Lépidi guizzi di sauri
tra ciottoli tiepidi.
Tessiture fini,
intrise d'acqua,
di aracnidi torpide.
Residui bagnati
di limacce torbide.
Un serico lepidottero ad ali distese
riposa
lontano da un cumulo fumigante,
timido.
Nel prato brulicante di vita
smaglianti ricacci
sovrastano
l'erba appassita e
si offrono al sole
tra viole odorose.

sabato 9 marzo 2013

FEMMINICIDIO (e dintorni)


Il femminicidio, fenomeno drammatico cui si assiste in maniera sempre più preoccupante e diffusa anche il Italia, è un omicidio di genere (di persona di genere femminile da parte di persona di genere maschile). Si concretizza nell'uccisione di persona di sesso femminile da parte di un partner o di un ex-partner. Rappresenta l' estrema conseguenza delle forme di violenza pregressa e reiterata nei confronti della donna vissuta come oggetto d'appartenenza da parte "del suo maschio proprietario" come lo ha definito Massimo Gramellini, dopo un costante lavorìo di erosione continua della sua dignità di persona attraverso il tentativo di negarne la piena espressione della personalità femminile.
Il femminicidio è un fenomeno diffuso nel mondo, ove più ove meno, e costituisce la prima causa di morte delle donne tra i 16 e i 70 anni. Tra i Paesi Europei è in consistente declino in Spagna dopo che, di recente, si è provveduto ad arginarlo in maniera opportuna, adeguata e sostanziale. Non così in Italia, dove le statistiche testimoniano che, al contrario, non si registra alcuna decrescita, ma anzi un sensibile aumento. Da noi è e resta una tragedia nazionale, dal momento che vi si registra almeno una vittima ogni due-tre giorni (parliamo di un totale di 137 nel corso del 2011 contro le 61 della Spagna). Una vera e propria piaga, di proporzioni così spropositate e indegne per un Paese civile, da aver indotto il Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU , riunitosi a Ginevra il 25/6/2012, ad intervenire con una precisa Dichiarazione nei confronti del nostro Paese.
Lo ha fatto stilando un documento in cui si dichiara che esso costituisce "un crimine di Stato tollerato dalle istituzioni pubbliche" proprio perchè vi ha ravvisato un preciso e diretto rapporto tra la violenza sulle donne e la complicità e le omissioni dello Stato che, nell'espressione delle sue Istituzioni e nel quadro di una politica perlopiù assente, non si dà abbastanza da fare per frenare la strage.
La recente legge sullo stalking, seppure quantomai opportuna e utile, non serve a prevenire e reprimere il fenomeno in oggetto; da sola non si è rivelata minimamente in grado di arginare la violenza domestica nè tantomeno di diminuire il numero di questo genere di omicidi.
In Italia dunque il problema resta grave. In quanto crimine di Stato tollerato dalle Istituzioni per la loro incapacità a prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne costrette a vivere durante l'arco della loro vita diverse forme di discriminazione e violenza, risolverlo è un obbligo internazionale.

Ciò che si invoca è una maggiore parità di genere, la prevenzione e protezione delle vittime e la punizione dei colpevoli.

Guardiamo brevemente alla statistica Istat del 2006 , vecchia quindi rispetto ai dati odierni ancor più sconfortanti, per tirare un po' di somme. Essa ci informa che: un terzo abbondante (31,9%) delle donne che vivono in Italia è stata costretta a subire violenza fisica e sessuale da parte di uomini, il 93% delle violenze è perpetrato da partner o ex partner. Risulta inoltre che il 35% delle vittime non denuncia, mentre solo il 13% chiede aiuto, spesso del tutto inutilmente, contro lo stalking.
L'incrocio di questi dati certifica per la prima volta la presenza di un fenomeno sociale, di una violenza endemica nei confronti delle donne come se fosse naturale, illegale ma legittima, che è anche strutturale. Esso merita di essere fattivamente arginato, e con urgenza. Il contesto sociale (culturale, giuridico, istituzionale e politico) non può pertanto continuare ad implicare la sostanziale impunità e la "normalizzazione" del fenomeno senza correre il rischio di legittimare vieppiù il femminicidio.

Circa le sue radici è stato detto molto. Esso non è frutto di incidenti isolati, non è l'epifenomeno di una accidentale quanto tragica conclusione, non è un drammatico incidente, è piuttosto l'ultimo atto di una serie di violenze continuative e di volta in volta crescenti, il più efferato.
Il femminicidio è la forma estrema d'una condotta violenta, che attiene a profonde motivazioni culturali e a modelli di rapporto tra i generi, utilizzata quale comportamento abituale perpetrato contro (l'animale umano) femmina che pone irrimediabilmente fine ad una sequenza di violenze continuative nel tempo.
Come recita uno slogan, c'è da dire che "violence is not always visible". Non sempre lascia lividi o altri segni fisici chiari e univoci, perlomeno non da subito. Spesso essa si configura dapprincipio come violenza, oltre e prima che fisica, anche morale, psicologica, economica e/o sessuale, fondata sul ricatto e la vessazione e come tale può perpetrarsi per un tempo anche lungo. Questo tipo di prevaricazione continuativa tiene soggiogati mediante la paura. E' una modalità utilizzata dal maschio per riappropriarsi di un ruolo al quale sono connessi privilegi, un ruolo socialmente dominante. La violenza diventa così uno strumento usato contro la donna che non vuole riconoscere questo potere, legato ad una gerarchia di rapporti così come era nel passato, nel momento in cui essa rifiuta la sudditanza. Poco o punto apprezzabile all'esterno, essa si svolge entro le mura domestiche, solo nel chiuso e nella privatezza di un rapporto a due.
Di solito nessuna vittima reagisce alle prime avvisaglie di un comportamento violento con comportamenti di fuga, allontanamento o ribellione, è portata piuttosto a perdonarlo o comunque a trascurarlo, confidando che non si presenti più. Ogni volta spera che sia l'ultima. Spera e aspetta. Finisce col sentirsi isolata, colpevole di aver reiteratamente trascurato i segnali per quanto forti e chiari, colpevole di non essersi ribellata e difesa prima. Teme possibili critiche sociali, intimamente si rimprovera la propria dabbenaggine e tantopiù col passare del tempo finisce col temere l'incredulità altrui di fronte alla "versione di Barney". La sua inazione diventa sempre più colpevole.
La sua imbarazzata e imbarazzante paralisi si nutre della "sindrome da crocerossina", di un istinto di maternage, di quell' imperativo categorico che suggerisce "io ti salverò" prima di un più salutare "io mi salverò" e può crescere se c'è di mezzo un figlio. Si tratta di una sommessa voce demoniaca che suggerisce di avere fiducia un'altra volta ancora e ancora, un'incosciente presunzione che ti convince che l'amore può avere effetti taumaturgici anche sul peggiore dei tuoi carnefici. Scrive Dacia Maraini nel suo -L'amore rubato-: "spesso tra carnefice e vittima si stabilisce un rapporto di complicità, anche se involontaria. La vittima vuole proteggere il suo aguzzino per liberarsi dai sensi di colpa, ..colpa di avere accettato la prima, la più subdola e inaspettata delle violenze. Da quel momento la distinzione fra i due si fa sottile e ambigua. La vittima diventa sempre più vittima, il carnefice sempre più carnefice in un gioco perverso che si avvita su se stesso. Questo succede... quando il carnefice è una persona che ci è familiare: la persona che abbiamo amato, di cui ci siamo fidati e che ci si è rivoltata contro." Dopo che si è speso un patrimonio sentimentale, e a volte neanche solo quello, ci si ritrova poveri, anche poveri di spirito, increduli e svuotati di ogni risorsa, anche della forza per difendersi. E' allora che dovrebbe sostenerti qualcuno e qualcosa dall'esterno, una diversa cultura, meglio orientata a riconoscere i segni, più protettiva e accogliente, più decisa nel segnalare vie di fuga, che non si nutra degli stessi stereotipi sessisti di cui la violenza di genere si alimenta. E' allora che c'è bisogno di misure istituzionali tese a promuovere uno status di garanzie alle persone offese che ne rispetti la soggettività femminile. E' allora che si verifica l'esigenza di misure volte a proteggere la vittima dagli abusi, fin dai suoi primi rapporti con quei soggetti (forze dell' ordine, strutture sanitarie,..) cui per primi la donna si rivolge nel tentativo di chiedere aiuto e a difnderla con norme di carattere repressivo attraverso modifiche alla disciplina penale (ad es. l'aggravante per stalking). Insomma, ciò che si rende necessario è una risposta strutturale e non emergenziale delegata soltanto per esempio alla legislazione penale.

In un Paese come il nostro dove fine a 30 anni fa al "maschio proprietario" era lecito l'uso delle botte quale mezzo per correggere il comportamento delle donne e dove era lecito il delitto d'onore, ancora pesa lo strascico culturale di un'impronta maschilista. Troppo spesso gli stereotipi e i pregiudizi, ancora sottesi in tradizioni, istituti, ruoli e realtà sociali attuali, trovano la donna in molti casi ancora incapace di quella lucida consapevolezza che la condurrebbe a percepirsi nel suo ruolo di vittima quando questo fosse. Soggiogata il più delle volte anche da una maggiore fragilità psicologica che la mantiene passiva, oltremodo indulgente e tollerante, incline a sopportazione e oblatività come caratteristiche materne e quindi confacenti con il suo ruolo di donna, soggiogata troppo spesso da una sudditanza economica e da condizionamenti e attitudini culturali ancora troppo largamente diffuse, quando non possa contare sull'efficienza di una rete istituzionale sufficientemente sistemica e coordinata che la protegga e la difenda, è destinata a non sapersi e a non potersi difendere. Fino a che gli omicidi di genere, il femminicidio nella fattispecie, manterranno le attuali proporzioni e non verranno riconosciuti come quel fenomeno che Amartya Sen ha definito "genocidio nascosto", fino a che continueranno ad essere più o meno sottaciuti quando non accettati, tollerati o giustificati, essi non si esauriranno, nè cominceranno mai a segnare una significativa flessione.

Per fermare il femminicidio c'è bisogno delle "4 P" : prevent, promote, punish, protect.
Serve un piano nazionale contro la violenza.

C'è bisogno di comprendere la necessità inderogabile di una profonda operazione di trasformazione a favore di una cultura di uguaglianza che rimuova i falsi stereotipi, le false rappresentazioni dei rapporti fra i generi e tutte quelle cause di discriminazione nella vita sociale che legittimano l'idea che l'uomo ha più valore della donna; che promuova finalmente la parità di genere e dunque il rispetto, anche attraverso un'educazione sentimentale e sessuale oltre che una nuova stagione iconografica (TV in primis) che valorizzi e non mercifichi la donna e il suo corpo. Finchè la società resterà maschilista, la predominanza del sesso maschile su quello femminile sarà legittimata.
C'è bisogno di azioni sul piano politico, operativo, giuridico e amministrativo che si integrino fra loro in un approccio olistico per la rimozione delle cause strutturali di discriminazione, oppressione e marginalizzazione delle donne. C'è bisogno di una maggiore attenzione (e sanzione) alle violazioni a tutti quei Diritti fondamentali (al lavoro, alla salute, a una vita libera dalla violenza, ad una adeguata e più paritaria retribuzione, alla tutela della maternità, al rafforzamento della previdenza sociale, ecc..) che sono necessari ad una vita dignitosa e autonoma non necessariamente satellitare nei confronti di un partner privilegiato e dominante.
C'è infine bisogno di un protocollo di azione di respiro europeo, ovvero internazionale, di una guida standard di prevenzione, di indagine e operatività, che renda sinergicamente coerente, ma anche più agevole e snello l'intervento delle Istituzioni chiamate, seppure a diverso titolo, a intervenire nella valutazione del rischio e nella protezione e tutela delle donne vittime di violenze e quindi in pericolo di vita.
Sarbbe auspicabile che divenissero tabù lo schiaffo e ogni parola o azione di umiliazione e scherno, e che l'impunità smettesse di costituire la norma.
E' importante che per prime le donne riconoscano i propri diritti fondamentali e comprendano la necessità di preservare la dignità essendo essa, come diceva Hanna Arendt, il diritto ad avere diritti e che si adoperino per richiederne a gran voce l'osservanza da parte delle istituzioni chiamate a fronteggiarne di conseguenza anche le violazioni.
Vorrei che non fosse vero che "le brave ragazze vanno in Paradiso, le cattive dappertutto", vorrei almeno che in Paradiso non ci finissero prima del tempo, per una morte gratuitamente violenta.
Per tutto questo appare necessario e urgente dare al più presto una risposta istituzionale alla dichiarazione dell'ONU.