Mariarosa in quinta elementare era una bambina grande, la più alta della classe. Sempre ostinatamente taciturna, non aveva mai fatto sentire la sua voce nè in classe, nè al cospetto dei genitori. Di sicuro, però, non era muta. Sua madre infatti garantì che era solita parlare, da sempre, solo quando andava a rinchiudersi nel pollaio della loro sgangherata casa di campagna, certa di avere come uditorio e come interlocutori muti, le sue galline. Curioso come, in quel contesto, si verificasse un' anomalia: i pennuti diventavano umani, bravi ascoltatori e capaci, si presume, di risposte cui la stessa bambina dava voce, e la bambina una di loro, in grado di comprendere e farsi comprendere. Lì, con quegli animali chioccianti, ella si confidava e intesseva lunghi dialoghi articolati. Se sua madre voleva sentirne la voce era pertanto costretta a spiarla, standosene ben nascosta fuori dal pollaio.
Alle sue insegnanti non fu possibile inviarla ai Servizi socio-psico-pedagogici. I genitori, e segnatamente il padre, erano perennemente latitanti e comunque non favorevoli ad alcun invio. Costoro erano agricoltori, poveri di mezzi e di strumenti culturali, preferivano starsene alla larga dalle Istituzioni e da quelle figure professionali di cui sostanzialmente diffidavano. A me, consulente psicologa interpellata dalla scuola a fornire quantomeno qualche opportuna indicazione al corpo insegnante, venne riferito che il padre correva voce fosse un noto etilista, persona rozza e inavvicinabile, probabilmente lontano dall' avere un buon carattere, si riteneva condannasse la moglie, persona peraltro schiva e remissiva, ad una condizione di sottomissione poco felice e senza scampo, indaffarata com'era a proteggere e prendersi cura dell'unica figlia.
La sola cosa che si rese possibile a quei tempi per questa bambina mutacica fu una consulenza indiretta alle insegnanti titolari che, fin dal primo anno, l'avevano molto a cuore.
Mariarosa era una bambina seria, poco o affatto incline al sorriso. Ma a scuola ci andava volentieri e, seppure mantenendo prudenziali distanze, partecipava alla vita di classe con interesse.
Sembrava vivificarsi particolarmente quando assisteva al teatrino delle marionette con cui talvolta i compagni di classe giocavano, spesso sotto la supervisione o dietro lo stimolo dell'insegnante titolare. Quei pupazzetti di plastica molle e colorata entro la cui testa si doveva infilare la mano, prendevano allora vita ad opera delle estemporanee invenzioni dei suoi coetanei di classe che, di quando in quando, inscenavano movimentati dialoghi, alterchi o zuffe tra i vari personaggi prestando loro la propria voce.
In particolare era attratta da quelli che raffiguravano animali e, tra questi, più di tutti la affascinava il lupo. Fino a quel momento Mariarosa era stata un'osservatrice passiva anche del teatro dei burattini. Spontaneamente non avrebbe mai osato infilarsene uno nella mano per animarlo e farlo partecipare a qualche scena. Di comune accordo si decise pertanto di intervenire su di lei in maniera indiretta, esercitando una qualche pressione sull' inequivocabile, forte desiderio che si intuiva Mariarosa avesse di inserirsi in quel gioco che letteralmente la rapiva e calamitava quella sua attenzione quasi estatica. Sarebbe stato inopportuno e controproducende, infatti, invitarla verbalmente a prendervi parte attiva collaborando coi compagni, la sua risposta sarebbe stata di diniego o di allontanamento. La maestra avrebbe dovuto tentare una sollecitazione d'altro tipo, più discreta e, speravamo, finalmente catartica. Nei confronti di quel gioco era come se provasse terrore e fascinazione nel contempo, un sentimento ambivalente e conflittuale, tipicamente nevrotico, per cui un invito diretto a parlare attraverso uno o l'altro dei personaggi in scena avrebbe provocato di certo un diniego e un' allontanamento. Si concordò pertanto che la maestra agisse un qualche incoraggiamento, al di là delle parole, con il solo gesto di "vestire" la mano dominante di Mariarosa con quella marionetta che sembrava esercitare in lei, silenziosa spettatrice, la più grande attrattiva. Si pensò in questo modo di interrompere la consuetudine di "trascurare" Mariarosa rafforzando quel comune pregiudizio che obbligava tutti, da anni ormai, a fare come se la bambina, tanto, non si sarebbe lasciata implicare nella performance teatrale, rifiutando una volta di più di lasciarsi implicare e restandosene muta e inoperosa. Si progettò di intervenire con un invito gestuale, silenzioso, in qualche modo nuovo, e si sperava che proprio quel genere di subitanea, muta ma autorevole profferta avrebbe potuto rivelarsi spiazzante se fosse giunta proprio quando ci si fosse accorti che il suo corpo fremeva di più nel malcelato desiderio di entrare attivamente nel gioco.
E fu così che, in maniera subitanea e irriflessiva, Mariarosa "divennne" il lupo. In un solo istante, dopo l'intervento rapido e silenzioso della sua insegnante che rivestì la mano della bambina, quella si animò ed il lupo che la ricopriva esordì a parlare con una potente bestemmia, la più usuale nella campagna Veneta, tirando fuori un vocione stentoreo, tonante, grave come la voce di un maschio umano minaccioso che, sulle prime, atterrì i compagni. Dopo pochi attimi però, esauritasi la performance "del lupo" choccante per almeno due aspetti, l'intera classe, vociante di giubilo e di esplosivo entusiasmo al grido di "Mariarosa ha parlato, Mariarosa parla, brava Mariarosa!", si fece intorno alla manovratrice di quello spaventevole animale coprendola di baci. La commozione insomma fu grande e, naturalmente, la mancanza di buone maniere, l'irriverenza blasfema e il linguaggio scurrile del lupo passarono pressocché inosservati, lasciando il posto ad una totale indulgenza della maestra che con altri alunni e in altre occasioni non ci sarebbe davvero mai stata.
Da quel momento, in quella classe, divenne usuale sentire tra le altre anche la voce di quella bambina ex-mutacica. Va detto inoltre che, dopo di allora, non venne mai più sentita bestemmiare nemmeno per interposto personaggio.
Alle sue insegnanti non fu possibile inviarla ai Servizi socio-psico-pedagogici. I genitori, e segnatamente il padre, erano perennemente latitanti e comunque non favorevoli ad alcun invio. Costoro erano agricoltori, poveri di mezzi e di strumenti culturali, preferivano starsene alla larga dalle Istituzioni e da quelle figure professionali di cui sostanzialmente diffidavano. A me, consulente psicologa interpellata dalla scuola a fornire quantomeno qualche opportuna indicazione al corpo insegnante, venne riferito che il padre correva voce fosse un noto etilista, persona rozza e inavvicinabile, probabilmente lontano dall' avere un buon carattere, si riteneva condannasse la moglie, persona peraltro schiva e remissiva, ad una condizione di sottomissione poco felice e senza scampo, indaffarata com'era a proteggere e prendersi cura dell'unica figlia.
La sola cosa che si rese possibile a quei tempi per questa bambina mutacica fu una consulenza indiretta alle insegnanti titolari che, fin dal primo anno, l'avevano molto a cuore.
Mariarosa era una bambina seria, poco o affatto incline al sorriso. Ma a scuola ci andava volentieri e, seppure mantenendo prudenziali distanze, partecipava alla vita di classe con interesse.
Sembrava vivificarsi particolarmente quando assisteva al teatrino delle marionette con cui talvolta i compagni di classe giocavano, spesso sotto la supervisione o dietro lo stimolo dell'insegnante titolare. Quei pupazzetti di plastica molle e colorata entro la cui testa si doveva infilare la mano, prendevano allora vita ad opera delle estemporanee invenzioni dei suoi coetanei di classe che, di quando in quando, inscenavano movimentati dialoghi, alterchi o zuffe tra i vari personaggi prestando loro la propria voce.
In particolare era attratta da quelli che raffiguravano animali e, tra questi, più di tutti la affascinava il lupo. Fino a quel momento Mariarosa era stata un'osservatrice passiva anche del teatro dei burattini. Spontaneamente non avrebbe mai osato infilarsene uno nella mano per animarlo e farlo partecipare a qualche scena. Di comune accordo si decise pertanto di intervenire su di lei in maniera indiretta, esercitando una qualche pressione sull' inequivocabile, forte desiderio che si intuiva Mariarosa avesse di inserirsi in quel gioco che letteralmente la rapiva e calamitava quella sua attenzione quasi estatica. Sarebbe stato inopportuno e controproducende, infatti, invitarla verbalmente a prendervi parte attiva collaborando coi compagni, la sua risposta sarebbe stata di diniego o di allontanamento. La maestra avrebbe dovuto tentare una sollecitazione d'altro tipo, più discreta e, speravamo, finalmente catartica. Nei confronti di quel gioco era come se provasse terrore e fascinazione nel contempo, un sentimento ambivalente e conflittuale, tipicamente nevrotico, per cui un invito diretto a parlare attraverso uno o l'altro dei personaggi in scena avrebbe provocato di certo un diniego e un' allontanamento. Si concordò pertanto che la maestra agisse un qualche incoraggiamento, al di là delle parole, con il solo gesto di "vestire" la mano dominante di Mariarosa con quella marionetta che sembrava esercitare in lei, silenziosa spettatrice, la più grande attrattiva. Si pensò in questo modo di interrompere la consuetudine di "trascurare" Mariarosa rafforzando quel comune pregiudizio che obbligava tutti, da anni ormai, a fare come se la bambina, tanto, non si sarebbe lasciata implicare nella performance teatrale, rifiutando una volta di più di lasciarsi implicare e restandosene muta e inoperosa. Si progettò di intervenire con un invito gestuale, silenzioso, in qualche modo nuovo, e si sperava che proprio quel genere di subitanea, muta ma autorevole profferta avrebbe potuto rivelarsi spiazzante se fosse giunta proprio quando ci si fosse accorti che il suo corpo fremeva di più nel malcelato desiderio di entrare attivamente nel gioco.
E fu così che, in maniera subitanea e irriflessiva, Mariarosa "divennne" il lupo. In un solo istante, dopo l'intervento rapido e silenzioso della sua insegnante che rivestì la mano della bambina, quella si animò ed il lupo che la ricopriva esordì a parlare con una potente bestemmia, la più usuale nella campagna Veneta, tirando fuori un vocione stentoreo, tonante, grave come la voce di un maschio umano minaccioso che, sulle prime, atterrì i compagni. Dopo pochi attimi però, esauritasi la performance "del lupo" choccante per almeno due aspetti, l'intera classe, vociante di giubilo e di esplosivo entusiasmo al grido di "Mariarosa ha parlato, Mariarosa parla, brava Mariarosa!", si fece intorno alla manovratrice di quello spaventevole animale coprendola di baci. La commozione insomma fu grande e, naturalmente, la mancanza di buone maniere, l'irriverenza blasfema e il linguaggio scurrile del lupo passarono pressocché inosservati, lasciando il posto ad una totale indulgenza della maestra che con altri alunni e in altre occasioni non ci sarebbe davvero mai stata.
Da quel momento, in quella classe, divenne usuale sentire tra le altre anche la voce di quella bambina ex-mutacica. Va detto inoltre che, dopo di allora, non venne mai più sentita bestemmiare nemmeno per interposto personaggio.