La
massima del filosofo Feuerbach, l'uomo è ciò che mangia,
intende porre l'accento sull'importanza di considerare che tutto ciò
che l'essere umano ingurgita, cibo e
liquidi, è di
primaria importanza,
costituendo il carburante che consente lo sviluppo e la propulsione
di quella che è la macchina del corpo non disgiunta, beninteso, da
quella che è la mente. Tale massima è ricca di significati.
Significa che il cosa si mangia fa l'uomo ricco o povero, forte o
debole, intelligente o carenziato, ben nutrito e quindi in salute
oppure malnutrito e soggetto a malattie, ecc., ma implica anche che
l'uomo è come mangia
, da solo, in compagnia, con foga o parsimonia, di fretta o con il
gusto della lentezza, nel rispetto o nello spregio dell'ambiente e
dei viventi, nella consapevolezza o cecità che ciò che è
buono da mangiare non coincide,
spesso, con ciò che è buono da vendere,
ecc.
Il
cosa mangiare dipende dalla densità demografica, dalla disponibilità
di cibo, o di certi cibi, dipende anche dalle tradizioni culturali e
alimentari, dalla peculiarità e dalla predominanza di certi prodotti
relativi ad una determinata area geografica, ma anche dalle strategie
di allevatori, politici e compagnie multinazionali che vedono nel
cibo un profitto più che un nutrimento; può inoltre dipendere
dall'osservanza di precetti religiosi o da particolari tabù, ma è
sicuramente relativo anche ad una scelta individuale consapevole che
prescinde dall'offerta o dai costumi alimentari dominanti.
Tenere
una dieta vegetariana, ad esempio, può dipendere da modelli
alimentari di popolazioni scarsamente sviluppate (economie
eminentemente agricole ma anche soggette a situazioni di restrizione,
povertà o carestia); può dipendere più genericamente da fattori
culturali e religiosi (buddhismo, brahmanesimo, ecc.), oppure dalla
libera scelta di chi non desideri partecipare alle sofferenze e
all'eccidio di animali allevati in segregazione a scopo
esclusivamente alimentare e sia consapevole dell'antieconomicità
dell'allevamento di proteine animali rispetto a quelle vegetali,
anche in considerazione allo spreco di acqua, bene essenziale di cui
siamo e stiamo diventando sempre più drammaticamente carenti.
Analogamente, anche la dieta carnea degli Americani, appassionati di
barbecue e fast-food, dipende da fattori culturali antichi, retaggio
di una tradizione in cui i bovini erano "il salario",
l'unità di scambio e dunque simbolo di ricchezza e potere in un
continente vasto dove c'erano pascoli in abbondanza, e fattori
economici più recenti, fattori che fecero del maiale e del pollo
animali più remunerativi da allevare (i maiali ripulivano e le
coltivazioni di patata e le grandi piantagioni di mais della Virginia
dai residui rimasti sotto e sopra la terra, mentre i polli, si
prestavano e si prestano sempre più, come superpolli, ad allevamenti
superveloci grazie ai mangimi composti in cui, oltre a granaglie
proteiniche come la soia, entra anche la farina di pesce insieme a
cocktails di vitamine, ormoni e antibiotici).
Naturalmente
non è detto che l'orgia dei carnivori in terra americana non possa
rivelarsi altrettanto transitoria quale fu quella dell'India vedica,
ora che la cementificazione e la densità di popolazione, in costante
aumento, riducono progressivamente le aree agricole, ora che anche il
mais e altre coltivazioni sono destinate alla produzione di
biocarburanti.
Si
può dire che "il cibo fa l'uomo" o che "l'uomo è il
suo cibo" non solo in relazione alla qualità e quantità dei
nutrienti contenuti nello stesso, ma anche in relazione alla
possibilità della dieta di influire nel "fare anima". La
condotta alimentare infatti, presumendo comunque una scelta,
perlomeno quando non vi siano situazioni di carestia o particolari
patologie, è influenzata dai condizionamenti ambientali,
dall'organizzazione sociale, dal periodo storico, dalla densità
demografica, dalla latitudine, ecc., ma possiamo anche dire che,
viceversa, è capace di influenzare, a sua volta, i comportamenti
individuali e sociali, le coscienze e persino l'economia.
Mi
piace ricordare, (mi rassicura anche), il poeta Ovidio che nelle sue
Metamorfosi disapprovava il consumo di carne, Leonardo da Vinci,
convinto vegetariano che sperava venisse il giorno in cui la vita di
un animale sarebbe stata considerata ugualmente degna di quella
umana, e San Francesco che si adoperò in ogni modo per proteggere la
vita di ogni animale ancorchè piccolo come l'allodola. Tutti e tre
erano vegetariani, esempio, ciascuno, di unione con la natura, di
integrità riconquistata, davvero alla portata di tutti.
Il
cibo influenza dunque, più in generale, il corpo e la mente, ma
anche l'economia e l'organizzazione sociale.
Esiste
dunque coincidenza tra essere e mangiare. Siamo in quanto
mangiamo, edo ergo sum,
se non ci nutrissimo non saremmo, e quel che siamo, nel corpo e
nella mente, nelle cellule e nello spirito, nel vivere sociale, lo
dobbiamo anche a ciò che scegliamo per nutrirci e a come scegliamo
di nutrirci.
Non
dubito, per esempio, che una maggiore consapevolezza di quello che è
un profondo difetto di sistema, che potremmo identificare nella
gestione finanziaria dei futures, ovvero degli investimenti mediante
i quali le aziende finanziarie regolano il mercato delle sementi e
dei cibi speculando e traendone enormi profitti, porterebbe ad una
migliore distribuzione del cibo, all'insegna di una maggiore equità
e ragionevolezza.
Si
rende necessario altresì un cambio di rotta nella cultura
alimentare; non è infatti più possibile scotomizzare i vistosi
paradossi di cui gran parte della popolazione mondiale è vittima,
per cui nel mondo, allo stato attuale, si verificano 36 milioni di
decessi annui per carenza di nutrizione e, nel contempo, 29 milioni
di decessi per eccesso di cibo, per cui un miliardo di persone stanno
per morire di fame mentre altrettanti hanno eccedenza di prodotti
consumati tanto che 1/3 di questi finiscono scartati nella
spazzatura.
Un
cambiamento culturale più che mai opportuno dovrebbe altresì farci
porre maggiore attenzione alla qualità dei cibi ("mangiare
meno, mangiare meglio" dovrebbe essere il motto) e dovrebbe
indurci a ritrovare il giusto orgoglio, o come minimo un maggior
rispetto, nei confronti del mestiere del contadino o, se proprio
vogliamo, del coltivatore. Non dev'essere un caso che Michelle Obama,
di là dall'Oceano, si sia tanto impegnata in una campagna alimentare
contro il cibo-spazzatura ed abbia faticosamente ripristinato l'orto
presso la Casa Bianca, conseguendo, peraltro in un tempo breve,
alcuni incoraggianti successi quantomeno a titolo di esempio.
Non
va dimenticato che l'incorporamento orale nutre anche
l'affettività. Veicolato primariamente dal seno materno, esso ci
nutre non solo di latte, ma anche di quel miele metaforico che è
costituito dalla dolcezza, dalla tenerezza, dal calore protettivo,
dall'appagamento della totalità dei bisogni primari, ivi compresi
quelli di attaccamento e protezione. Quando l'insicurezza circa la
propria identità ed esistenza tramuta il cibarsi da quella cosa che
garantisce la salute del corpo a quel comportamento umano il più
carico di simbolismi e valenze cui si associano le emozioni e
l'affettività, nasce il disturbo alimentare (la bulimia e
l'anoressia ne sono due esempi vistosi). Col cibo si combatte il
vissuto di esclusione sociale, si combatte l'angoscia del niente e si
tenta di riparare il vuoto esistenziale. Mangio, dunque
sono. Mangio, quindi esisto. Esisto male, mangio male. Mangio male,
esisto male.
Mangiare
troppo, compulsivamente, cercando le sensazioni violente, intense,
primitive e selvagge di riempirsi di sostanza e carnalità in un
delirio di soddisfazione per quanto momentanea, o troppo poco, in una
strenua lotta sul filo del rasoio tra la vita e la morte, tra
l'essere e il non essere più, mettendo alla prova se stessi in
maniera continuata, ripetitiva e ossessiva, sono facce della stessa
medaglia. L'intento sembra, in tutti e due i casi, quello di salvare
in qualche modo e l'identità e la possibilità di sentirsi accettati
anche nella fragilità di un corpo dismorfico.
In
uno scenario non più individuale ma collettivo si può osservare che
"il mangiare" è diventato, come si diceva, un problema,
anche nell'opulento mondo occidentale. Si tende a comperare ciò che
conviene economicamente a discapito della qualità, non si dà valore
al cibo quanto se ne dà agli oggetti propagandati dalla società
consumistica dei quali, a ben guardare, non abbiamo altrettanta
necessità, oppure non si considera, per esempio, che un chilodi
pasta asciutta, alimento-base non soltanto nella dieta mediterranea,
costa come, o meno, di una tazzina di caffè al bar.
L'incorporamento
orale nutre anche lo spirito. Nell'eucaristia,
l'incorporazione del "corpo" di Cristo (sangue e carne)
simbolicamente racchiuso nell'ostia, diviene maniera di ospitare
dentro di noi il figlio di quel Dio di cui siamo fatti a immagine e
somiglianza; assumiamo questo cibo in una condivisione collettiva,
nella comunione appunto, perchè il cibo è unione.
Come disse E. M. Foster, gli eventi principali della vita di un
essere umano sono cinque: nascere, mangiare, dormire, amare, morire.
Mangiare e amare, però sono quelli che più ci avvicinano gli uni
agli altri e che più si avvicinano tra loro. Il cibo, oggetto di
scambio per eccellenza fin dal principio, non solo tra il neonato e
sua madre, rappresenta un veicolo di interazione privilegiato per
tutto l'arco della vita proprio perchè continua ad essere quel
denominatore comune vitale che consente la relazione, la conoscenza e
la vicinanza e la fiducia nei legami sociali.
Mangiare
è sostantivo e verbo. "Questo mangiare fa schifo", "non
mi va più di mangiare", "troppo mangiare ingrassa",
"ti mangerei di baci", sono espressioni comuni nelle quali
utilizziamo la parola "mangiare" in entrambi le forme e
nelle sue diverse accezioni di nutrimento concreto e simbolico,
quale "carburante" per le funzioni corporee ed elemento
affettivo per le funzioni psichiche.
Quando
diciamo "il sole mangia le ore" usiamo invece una metafora
di incorporazione distruttiva, laddove il tempo, fagocitando ciò che
esso stesso genera, le ore, le incorpora e al tempo stesso le
distrugge, come Chronos ( il tempo, appunto) i suoi stessi figli, e
ciò facendo si assicura, per dir così, l'immortalità ovvero
l'eternità.
Ma
noi che siamo mortali, non nutrendoci di frazioni infinite di tempo,
non possiamo né incorporarle a scopo distruttivo, né tesaurizzarle,
abbiamo bisogno di incorporare cibo "buono da mangiare",
come direbbe Marvin Harris e "buono da pensare",
come direbbe Claude Lévi-Strauss, abbiamo cioè bisogno di un cibo
che sia buono al palato, buono dal punto di vista nutrizionale e
buono dal punto di vista etico, buono per la mente perchè
corrispondente al bene per noi stessi e, nel contempo, per i nostri
simili.
Poichè
noi siamo animali sociali, il bene è anche e soprattutto bene
sociale. Potremmo allora dire che se l'uomo è ciò che mangia, e
mangia bene, l'uomo sta bene con se stesso e con gli altri, riconosce
la gioia, ed essendo portato per sua natura a condividerla, gli sarà
più facile essere buono. Se gli riuscirà di essere buono, non
avido, non sfrenatamente individualista, e bello nel corpo perchè
una sana alimentazione consente questo, finirà anche col sentirsi
bravo, ovvero accettato e premiato socialmente. Non è questo forse
il modo per conoscere il ben-essere, la soddisfazione, la gioia?
Di
questi tempi, tempi in cui il mondo intero ha diffusamente gioito per
l'elezione di un Capo Spirituale che si è scelto il nome del
Poverello d'Assisi e che ha riconosciuto gli animali anch'essi come
figli di Dio, è possibile sperare in un nuovo corso ove l'unione con
la Natura tutta, nel rispetto dei viventi, animali compresi, sia non
solo desiderabile, ma di nuovo possibile, ove l'eco della filosofia
di Henry David Thoreau e del suo "Walden", cosiccome l'eco
della spiritualità orientale e della tradizione cristiana primitiva,
tornino a risuonare nelle nostre orecchie. Perchè, fino a prova
contraria, è la natura che dà da mangiare a noi che ne siamo i
figli.
Non
sarebbe male rispolverare la memoria di una celebre storia dei Nativi
Americani che narra del trasferimento culturale-pedagogico,
dell'insegnamento di vita, di un vecchio Cherokee ai suoi nipoti. Il
saggio raccontava di sentire in atto dentro di sè un'antico
combattimento come tra due lupi di diverso carattere: uno impaurito,
feroce, rabbioso, collerico, avido ed egoista, l'altro amorevole,
compassionevole, generoso, empatico e gioioso. La stessa battaglia è
in atto dentro a ciascuno di voi, disse, come è dentro ad ogni altra
persona. "Chi vincerà tra i due lupi?", chiesero i
giovanetti. "Quello a cui darai da mangiare", rispose.
Se
vogliamo che la Natura, la nostra Madre Terra, continui a darci da
mangiare, garantendoci sopravvivenza e ben-essere, dobbiamo aver cura
di non isterilirla, preservandola e avendone cura come fosse il
nostro corpo, questo stesso corpo fatto della stessa materia del
nutrimento che ci affratella tutti. Diceva Edoardo Galeano che
nessuno morirà di fame finchè nessuno morirà d'indigestione.
Hai toccato molti punti interessanti, che meriterebbero ciascuno un commento particolare, ma gola come la logorrea è qualcosa da tenere a freno, perciò mi limiterò a dire 2 cosine sul MANGIARE COME ATTO SOCIALE. Non ci ho mai fatto caso più di tanto, ma credo proprio che mangiare sia una delle poche cose rimaste che ci tiene ancora legati al mondo reale, e che non abbia un corrispettivo virtuale in un non-luogo nel cyberspazio. In un mondo in cui i rapporti umani stanno scemando in qualità e quantità, è inquietante constatare come stia lentamente scomparendo la necessità, o semplicemente la voglia, di sedersi attorno ad un tavolo per condividere del cibo, per parlare, per guardarsi negli occhi: mangiare davanti al programma tv preferito, in piedi per la fretta di uscire, per strada o (per i veri alienati) soli davanti al computer alla ricerca di un utente disponibile a chattare, stanno diventando abitudini comuni. Un trend apparentemente e pericolosamente solipsista che cozza con la natura del pasteggio, orientata verso la condivisione per gran parte dei mammiferi. Se ci pensiamo bene, già solo l’idea del mangiare connette il sé con il mondo: “esurio, ergo sum” cartesianamente parlando (penso si dica così, non ho mai studiato il latino), ma anche mondo nel senso di società, di persone, di ortolani e supermercati dove procacciare modernamente il cibo. Da sempre l’uomo ha fatto del nutrirsi un evento collettivo arricchito di significati culturali e sociali. In ogni epoca e in ogni dove, come ha scritto Harris, dietro al gesto semplice dello sfamarsi, si sono celati e si celano tuttora miriadi di elementi, di regole, pratiche e credenze che trascendono la pragmatica categoria del “tecnicamente commestibile per gli esseri umani”. Tabù alimentari, galateo, arte culinaria e simbolismo religioso sono alcuni di questi significati che le varie civiltà aggiungono al semplice atto meccanico, arricchendolo di valori che caratterizzano una determinata cultura nella quale le persone si identificano.
RispondiEliminaQuando il cosa, il come, il quando, con chi e dove mangiare, perdono la loro importanza per le persone, dovremmo chiederci se questo è dovuto solo alla casualità degli eventi, a esigenze di routine, o se invece sia in atto qualche cambiamento più profondo, che forse ci porta a non riconoscerci più nel modello proposto dalla nostra tradizione. Chi vivrà vedrà. Come per il già citato esempio dell’Eucaristia cristiana, esiste spesso una connessione simbolica tra il mangiare e la religione, spesso usato come medium per interagire con le entità trascendenti. Durante una mia ricerca in Perù, ho avuto il piacere di partecipare a una tradizionale Pachamanca assieme ad una famiglia di allevatori di Alpaca in una fattoria sperduta tra le Ande a circa 4600m slm. La Pachamanca è simile a quello che noi chiamiamo barbecue, solo che la cottura degli alimenti avviene in un buco scavato nel terreno scaldato da pietre roventi. Originariamente, rappresentava un’offerta alla dea della terra/fertilità Pachamama per propiziare le attività agro-pastorali. Ammesso e non concesso che la gente creda ancora a queste cose, la Pachamanca rimane per tutti un occasione per condividere il cibo quando con la famiglia e con gli ospiti. Nonostante l’estrema povertà degli allevatori, la location spartana (no luce, no gas, no acqua, no posate) e le difficoltà a digerire a 4600m di altitudine seduto su un prato con 5°, ho vissuto un’esperienza di convivialità fuori dal tempo. Condividendo il cibo con quelle persone, di fatto, abbiamo rotto il ghiaccio e superato le differenze di aspetto fisico, culturali che all’inizio ostacolavano un po‘ il mio lavoro. Mangiare con loro e come loro mi ha permesso di essere accettato e riconosciuto, e di ottenere quindi la loro fiducia, a prescindere dal significato culturale originario dietro alla Pachamanca. Questo supporta la mia affermazione iniziale del mangiare come atto sociale, perché è vero che l’uomo è ciò che mangia, ma è anche vero che il “come si mangia”, fa l’uomo.
Caro Anonimo, ti ringrazio ancora una volta per le tue riflessioni antropologico-sociali in punta di penna. Faccio mio il tuo "sono affamato dunque sono" considerando che la fame, in senso metaforico, è anche fame di sapere, è desiderio/bisogno di conoscenza. E si conosce solo quando ci si confronta gli uni con gli altri. Nessuna conoscenza è possibile nell'isolamento di chi sta solo. L'individualismo dilagante di chi pensa solo a se stesso avendo perso la capacità di misurarsi e cooperare con gli altri, conduce al disorientamento, all'immobilismo, è la paralisi della paura. La fame vien mangiando, si dice. E chi non beve o mangia in compagnia...
RispondiEliminaDavvero arduo aggiungere qualcosa ad un articolo così ben scritto e documentato.
RispondiEliminaQuel che a me più è piaciuto, è l'angolazione sociale-filosofica da lei ad un tema che diversamente, rischiava d'essere inquadrato solo sotto l'aspetto gastronomico, nutritivo e così via. Il pericolo del riduttivismo e/o della banalizzazione, infatti, esiste sempre.... ma lei ha saputo schivarlo egregiamente.
Appena possibile tornerò su questo blog perchè (combinazione? Chissà!) proprio oggi ho citato questa fase e questo concetto di Feuerbach coi miei ragazzi, a lezione... e mi interesserebbe approfondire.
Buona giornata.
Errata corrige: "è l'angolazione sociale-filosofica da lei DATA ecc.
RispondiEliminaCaro Anonimo, ti ringrazio ancora una volta per le tue riflessioni antropologico-sociali in punta di penna. Faccio mio il tuo "sono affamato dunque sono" considerando che la fame, in senso metaforico, è anche fame di sapere
RispondiEliminami piacerebbe osservare, cosa succederebbe se domani tutti si svegliassero ERBIVORI. oppure Tutti Carnivori..........MANGIATE il Domestico, o meglio quello della VOSTRA FATTORIA a kilometri ZERO che è meglio per tutti.......
RispondiEliminaOttima spiegazione... Molto dettagliata.
RispondiEliminaATTENZIONE HAI BISOGNO DI PRESTITO PERSONALE / PRESTITO DI INVESTIMENTO / FINANZIAMENTO AZIENDALE drbenjaminfinance@outlook.com
RispondiEliminaBuongiorno, sono qui per testimoniare come ho ottenuto che l'edificio ospedaliero dell'assicurazione sanitaria privata completasse i fondi del prestito di €250.000,00 EUR da DR. BENJAMIN FINANCE INVESTMENTS, non so se hai bisogno di un prestito urgente per pagare le bollette, aprire un'attività o costruire una casa, offrono tutti i tipi di prestiti che vanno da €5.000,00EUR a €1.000.000,00EUR con un tasso di interesse basso del 2% e durata del prestito da 1 a 33 anni per pagare il prestito con e senza garanzie. Stai perdendo il sonno la notte preoccupandoti di come ottenere un prestatore di prestito legittimo?
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