sabato 19 gennaio 2013

Siamo tutti Robinson Crusoe

Siamo tutti attratti dal viaggio, alla ricerca di un'isola, in qualche punto negli sconfinati Oceani. I meno intraprendenti tra noi hanno bisogno di un fattore accidentale, propulsivo per intraprendere il proprio viaggio esplorativo. Talvolta hanno bisogno di situazioni estremamente destabilizzanti come un naufragio, un qualunque naufragio anche metaforico che li catapulti in un altrove circoscritto dove mettersi alla prova: è una nuova nascita.
Per Robinson Crusoe, il personaggio emblematico del romanzo di Daniel Defoe, pubblicato per la prima volta nel 1719 e letto da un vasto pubblico fino ad oggi, fu proprio così.
Sbarcato fortunosamente su di un'isola che sembrava deserta, si industrierà a sopravvivere contando sulle sue proprie forze e sul proprio ingegno, ripercorrendo tutte le fasi dell'adattamento umano, dalla fabbricazione degli utensili, all'addomesticamento degli animali, alla coltivazione della terra, alla ricerca della spiritualità, per 28 lunghi anni.
La diffusione e l'apprezzamento di quest'opera non sono mai venuti meno perchè, con tutta evidenza, un po' come accade nella mitologia cosmogonica, nelle pagine di questo romanzo anche il lettore moderno può ritrovarvi tutti gli elementi che simboleggiano la nascita ed il percorso di crescita fino al raggiungimento di un'armoniosa adultità. Il protagonista del romanzo, passando attraverso le difficoltà del travaglio e dell'abbandono dell'acqua intesa come Grande Madre, come elemento amniotico agli albori della genesi umana, come fonte battesimale in cui immergersi anima e corpo, come inconscio e caotico magma, ci accompagnerà attraverso un lungo e non sempre facile percorso di crescita, fino alla sua ri-nascita. Nella sua esperienza sull'isola, attraverso il superamento di ogni tipo di difficoltà in perfetta autonomia e solitudine esistenziale, ci illustra la tribolata ricerca per una precisa definizione della mappatura dell' Io, fino all'individuazione del proprio profilo e del senso della propria identità.
L'avventura di Crusoe prende inizio con la sua separazione dal padre, del quale ha ignorato il consiglio a non abbandonare un'agiata e più prudente vita borghese. Salperà in nave, avventurandosi nel mare, in quel possente organismo, immenso, pressocchè infinito che, nel suo essere impetuoso, ambiguo, enigmatico, cangiante, suadente, riposante, ma anche potenzialmente distruttivo, è metafora della nostra matrice nonchè della nostra vita interiore ricca di ogni potenzialità ancorchè sconosciuta, nell'intento di sfuggire all'inspiegabilità del mondo, alla sua fossile geologia, alla sua razionalità.
In mare dunque inizia il suo viaggio che diviene sfida, bisogno d'avventura, desiderio di libertà, prova di conoscenza, ricerca del nuovo, superamento degli ostacoli, evasione, ma anche adattamento, prova e verifica delle proprie esperienze, misura delle proprie capacità di sopportare fatica e sforzo necessari per conquistare e farsi conquistare, alla ricerca dell'entusiasmo (en-theòs, dio dentro), di quella matrice spirituale che, a saperla invocare, talvolta percepiamo in noi come anelito cui tendere fatto della stessa sostanza immateriale dei sogni. Il viaggiatore muove verso un territorio del desiderio (de-sidera, (essere lontani) dalle stelle) dove lo aspettano nuovi orizzonti, verso un luogo-altro, incoraggiato da curiosità e speranze, alla ricerca del proprio spazio interiore, della propria anima, spinto da un'autentica vocazione a conoscere se stesso. In speranzosa attesa confida, come i desiderantes nel De Bello Gallico, che i compagni soldati, reduci dalla battaglia, possano fare ritorno.
Il viaggiatore, sballottato dal caos della tempesta nei momenti drammatici del suo naufragio, farà dunque approdo in un' isola sconosciuta e remota cui lui stesso darà il nome di Isola della Disperazione. Eppure, qui giunto, non sarà mai preda del sentimento che ne caratterizza il nome, e potrà anzi iniziarvi il suo cammino verso una personale redenzione. Si dispiace, questo è vero, della mancanza di una pipa, con cui poter fumare il tabacco di cui l'isola è ricca, come pure si dispiace della mancanza di compagnia, almeno fintantochè non vi troverà Venerdì, cannibale redento salvato alla furia giustizialista dei suoi stessi simili, sorta di presenza umbratile e servizievole alter-ego. Ammette sovente la propria stanchezza e lamenta la monotonia delle prime fatiche quotidianamente sempre uguali. Anche dopo che diverrà consapevole della presenza di tribù ostili e potenzialmente pericolose in quanto antropofaghe (si allude forse alla minaccia cannibalica del simile che ingloba il simile, alle tentazioni come parti cattive di sè che non si vogliono introiettare?), reagisce senza mai abbandonarsi all'inerzia. Si proteggerà con un fortino, fino a sconfiggerli, senza mai giungere alla disperazione. In generale misconosce la noia e ripudia gli eccessi, come quando gli càpita di trovare tre grossi barili di rhum e dimostra di saperli amministrare centellinandoli e facendoseli bastare fino alla fine. Non si abbandona mai ad idee suicide o di massimo scoramento che pure avrebbero potuto maturare in lui se non fosse che sempre sa reagire alla paura, al dolore, alla noia e alla dipendenza da certe comode abitudini, con coraggio e determinazione. Anche se non smette mai di sognare la fuga, ben presto arriva a godere nel sentirsi, dopotutto, padrone dell'isola. Il resto del mondo diviene progressivamente cosa sempre più lontana, da cui nulla deve attendersi, e con cui, nulla avendo a che fare, verosimilmente nulla più avrà a che fare, giudicando perciò inutile struggersi nella nostalgia. Sembra conoscere il cammino verso la saggezza, la soterìa, la salvezza del viaggio di Amore, a partire da sè, ma non per sè.
Accettare la finitezza dell'isola, i suoi confini e le sue risorse, è il segreto del suo relativo benessere anche nella condizione di naufrago privato di ogni passata comodità. Il segreto della sua sopravvivenza nella solitudine consiste nel suo saper accettare il limite. Il soggiorno nel selvaggio approdo viene da lui considerato come conseguenza della propria imprudenza e non già della propria impudenza. Riconosce il proprio spirito d'avventura come anelito di libertà e autonomia e come causa del cambiamento; non ravvisa in sè nessuna hybris sentendo quindi, in certo qual modo, di stare pagando un giusto prezzo che nulla toglie alla sua attuale possibilità di adattamento e godimento futuro. Invoca il sostegno della Provvidenza, ma non tiene mai le mani in grembo nell'attesa d'una catarsi o di un prodigio. Si dà da fare con le sue proprie mani adoperandosi con tutto l' ingegno di cui dispone e, nella piacevolezza dell'operosità quotidiana, si riconosce artefice della sua propria sorte. Motore egli stesso del suo viaggio, spinto dal desiderio di conoscere e di conoscersi, si è reso libero di approdare verso nuovi orizzonti. Nel quarto di secolo della sua permanenza, Robinson prepara in verità anche il proprio ritorno a casa e, con esso, il futuro matrimonio, la soddisfazione della prole che non gli mancherà, fino alla ripartenza dopo la morte della moglie, ancora una volta verso l'isola.

In questo senso, ciascuno di noi è Robinson, chiamato a misurarsi nel mare sconfinato delle conoscenze e delle opportunità fino a trovare se stesso nell'isola del proprio io. E' è solo così, attraverso il viaggio di esplorazione nella propria isola esistenziale, svezzandosi dalle eccessive comodità e dalle sovrastrutture dalla separazione all' individuazione, che ciascuno sarà poi pronto a confrontarsi con l'Altro attraverso Eros, un amore maturo che sappia cosa offrire di sè, e cosa chiedere all'Altro-da-sè, che abbia cognizione di chi si è nella propria individualità e di chi è l'Altro.
Il soggiorno presso l'isola si rivela pertanto un'esplorazione in un luogo metastorico in cui l'assenza dei conflitti umani e della complessità di un mondo da cui si sono prese le distanze, accoglie l'utopia di un esilio paradisiaco di autoesclusione, finalizzata a sottrarsi all'invadenza di una vita concreta e alle sue sempre urgenti e rissose impellenze storiche: uno spazio nuovo, di abitudini sobrie, essenziali, e per questo di più libero movimento, senza lacci e lacciuoli, senza altri padroni che se stessi. Ma è un soggiorno che, in totale assenza dell'incontro con l'altro, con il diverso, tornerebbe ad essere deludente e insostenibile. Rischierebbe di rivelarsi un' esperienza narcisistica negativa, destinata soltanto a farlo ritornare alla Madre anzichè in Patria, come quella di Narciso che, dando amore solo a se stesso, non avendo portato a compimento il suo ciclo vitale, è destinato ad un viaggio senza ritorno, dall'acqua all'acqua, per annegamento, in un fatale ricongiungimento mortifero. Un' esperienza narcisistica positiva invece, ove l'acqua abbia funzione di specchio capace di far riconoscere oltre alla bellezza e consapevolezza di sè, anche la bellezza dell'esistente ivi compreso l'Altro, consente e il viaggio, e il ritorno, e altre successive ripartenze.

Il tema metaforico è quello stesso che nei secoli riappare di frequente. Penso all'epica di Omero che ci narra delle vicende di Ulisse (Odisseo) con tutte le sue distrazioni adolescenziali (le prove di autonomia, le infatuazioni) ed i momenti regressivi talassali (i reiterati viaggi per mare con i relativi inciampi). Penso cioè, per esempio, alla consapevole paura che l'Eroe prova in mezzo all'immensa distesa d'acqua nei confronti del canto delle sirene come metafora della seduzione, del potere ipnotico e paralizzante della voce materna, amata prosodia udibile fin dal principio nell'ambiente uterino liquido, amniotico paradiso perduto, beatitudine oceanica, regno dell'indifferenziazione da cui tutto trae origine. E' noto a tutti che il signor Nessuno (Odisseo), solo dopo un lungo e tribolato viaggio durato 20 anni può far ritorno a casa, riconciliandosi finalmente con i suoi affetti adulti e, sbaragliati i contendenti (i Proci), ricominciare a sentirsi Qualcuno. Il suo cambiamento è un cambiamento interiore. Quantunque sia invecchiato entrando nella piena maturità, viene infatti riconosciuto, con stupore forse, ma senza alcuna esitazione, dalla nutrice che lo vide piccolo e dal suo fedele cane Argo.

Penso inoltre a due esempi di narrazione nella più recente produzione cinematografica. Mi riferisco, per quanto concerne quest'ultima, a pellicole quali: "Travolti da un'insolito destino nell'azzurro mare d'agosto" della regista Lina Werthmuller, e "Cast away" nell'interpretazione magistrale di Tom Hanks. In entrambi i film troviamo elementi comuni, il naufragio e l'isola con la sua natura aspra e incontaminata: paradigmi analoghi, ma con epiloghi diversi.
Nella narrazione della vicenda citata per prima, vediamo la compianta Mariangela Melato nei panni di Raffaella, una sofisticata, riottosa milanese, agiatissima donna di mondo, poco simpatica fin dall'inizio anche a causa della sua erre blesa, assieme ad un giovane Giancarlo Giannini nei panni del giovane mozzo di origini siciliane al suo servizio nello yacht da nababbi di lei. I due finiscono naufraghi tra le sabbie dorate del loro approdo di fortuna circondato dal mare e, qui, Cupido scocca le sue frecce facendo ribaltare la situazione. Una volta dismessi gli scomodi panni di umile e rozzo sottoposto schernito e dileggiato fintantochè era a bordo, lui diviene finalmente il suo ardente amante di lei appassionata succube proprio a causa d'un insolito destino che, sull'isola, ne ribalterà i ruoli. Anche lei dunque sembra corrisponderlo con passione subendo con piacere il trattamento, esilarante in verità perchè vendicativo e machista, corrispondente all'immagine pregiudizievole del maschio siciliano. Tutto ciò in un crescendo di passione e di intesa finchè lui la convince a ritornare alla civiltà e alla vecchia routine, per metterla alla prova, verificando se davvero lei voglia ripartire convintamente, per scelta questa volta, insieme a lui sull'isola.
Ma ecco che Raffaella, alla prova dei fatti, diserta l'appuntamento per la ripartenza e lo lascia sul molo solo e disperato, sotto un'implacabile canicola. In concreto, il sogno di fare ritorno nel paradiso perduto, non è un sogno, semmai lo è stato, condiviso e condivisibile.
La scena finale è una zoomata di allontanamento che vede il semplice marinaio Gennarino, inutilmente vestito a festa, rimanere ad imprecare nel suo coloritissimo idioma nel mentre lei si alza in volo comodamente seduta in elicottero a fianco del marito.
Nel secondo film che ho citato, il protagonista Chuck Noland, in un'isoletta spersa nel Pacifico, sopravvive servendosi all'inizio dei relitti che il mare gli restituisce: i pacchi della Fedex, compagnia di spedizione per cui lavorava. Un pallone da calcio dipinto col proprio sangue in maniera che sembri un volto umano ed un piccolo ciondolo con la foto della fidanzata deposto su una sorta di altarino nel fondo della grotta in cui ripara sono i suoi unici interlocutori muti, e gli alleviano la solitudine come oggetti transizionali dal potere soterico. Dopo anni e anni di permanenza, viene raccolto finalmente da una nave di passaggio e può fare ritorno al luogo da cui era partito. Niente qui è rimasto come l'aveva lasciato. Anche lui non è più lo stesso. Quella che gli era fidanzata gli manifesta ancora amore, ma ora è sposata e ha una figlia. Gli assalti dei media e dei curiosi ben presto lo rendono frastornato. Così lo vediamo prendere le distanze da quel mondo caotico e ciarliero. Si rimette in viaggio, questa volta in automobile. Porta con sè un pacco, il trait-d'union con la sua vita solitaria, che negli anni ha voluto preservare unico tra tutti ancora imballato, per la consegna seppure tardiva alla legittima destinataria. Lei è assente, quindi, arrivato a destinazione, deposita l'involto sull'uscio della casa di lei congiuntamente ad una nota di ringraziamento (!). Quindi procede finchè non si trova ad un crocevia, sperduto nella vastità della campagna texana. Fatalità, qui incontra proprio la destinataria che cercava e approfitta, in mezzo a tanta desolazione, per chiederle delucidazioni circa il dove ciascuna delle tre diverse strade conduca. Una, gli viene detto, congiunge con la statale, un'altra è una strada che "porta al niente fino al Canada", la terza è quella da cui è venuto e che conduce alla casa di lei. Si congeda sorridendo enigmatico nel mentre sembra tentennare, indeciso sulla direzione da prendere. Intanto fissa, rapito e sorridente, il retro del furgone di lei che si allontana su cui campeggia, quasi ammiccante, il logo della ben nota ditta di spedizioni Fedex con lo stesso paio di ali stampigliate sull'involto sdrucito del pacco.
Da questo momento in avanti possiamo immaginare che possa solo andare avanti e procedere verso una vita che non sarà più come era.