venerdì 10 dicembre 2010

A.A.A.: Aggressività, Ansia e Angoscia come 3 "A" strettamente correlate.

L'Aggressività (intesa etimologicamente come ANDARE VERSO, dal latino ad-gredior) è un istinto primario, codicio sine-qua-non per la sopravvivenza.
E'un fenomeno fisiologico legato all'istinto di difesa e all'esplorazione. Essa viene mobilitata ogniqualvolta l'individuo subisca una minaccia o una frustrazione (impedimento di un atto tendente a soddisfare un bisogno).
Chi disponga di una sana aggressività e non sia dunque ipo od iper-aggressivo, sarà disposto a MUOVERSI VERSO gli altri, verso il mondo, verso le situazioni e le occasioni incanalando questa spinta propulsiva verso fini individualmente e socialmente utili nel rispetto dei diritti propri e altrui.
Vi si muoverà spinto da tensione cognitiva e da curiosità e, soprattutto, vi si spingerà da PROTAGONISTA, ovvero come SOGGETTO ATTIVO.
Essere aggressivi in maniera produttiva, contrastando la tendenza regressiva che porterebbe di per sé allo sviluppo predominante dell'aggressione cosiccome contrariando un'esagerata tendenza difensiva di un IO immaturo e debole che preferisce rimuovere inconsciamente l'impulso aggressivo trasformandolo in sintomo nevrotico o psicosomatico, può essere appreso, consentendo di affrontare la realtà in termini vantaggiosi e produttivi.
Chi invece non disponga di una sana aggressività, sarà SOGGETTO a permanere in un ruolo tendenzialmente PASSIVO, costretto ad attendere la “mano tesa” nel movimento altrui, restando perlopiù inattivo.
Com'è ovvio, la condizione psicologica del soggetto tra l'essere attivo o passivo, varia di granlunga , premiando con infinite opportunità il primo ed esponendo al contrario il secondo, alla mercè degli altri, ad una sequela di occasioni mancate quando non al rischio di soccombere, vittima dell'aggressività altrui.
L'aggressività pertanto, come motore verso l'azione, spinge l'uomo a muoversi, foss'anche solo per spingersi lontano dal pericolo, allontanandolo per tempo dalla fonte che costituisce una minaccia che abbia stimolato in lui un prudenziale sentimento di PAURA.
Il precursore della risposta aggressiva è dunque l'ANSIA, che si configura come uno stato d'allerta promosso dalla paura o dalla frustrazione di un bisogno.
Essa predispone il soggetto ad una qualche azione rendendolo massimamente vigile.
L'ansia è un campanello d'allarme. Quando inizia a suonare, mette in risonanza, attivandolo, il sistema simpatico. Scatenando adrenalina,questo inibisce i processi anabolici (attività gastrointestinali) e stimola l'attività cardiaca e polmonare, aumentando l'irrorazione sanguigna di muscoli, polmoni e cervello.
Pensiamo al gatto che avendo udito l'abbaiare furioso di un cane vi reagisca provando paura.
La prima subitanea reazione nel momento dell'entrata in ansia, sarà quella di porsi in ascolto con tutti i sensi in allerta, nella paralisi del movimento, nel mentre il corpo tutto si va predisponendo alla risposta di fuga o di fronteggiamento del pericolo, in una vistosa tensione anticipatoria.
Aumenterà la disposizione all'acuità visiva (con pupille in midriasi), i muscoli saranno contratti, il pelo rizzato per apparire più grosso e temibile, il battito cardiaco aumentato, ecc.
Le variazioni neurovegetative saranno temporanee e strettamente legate al perdurare di un evento minacciante e oggettivo.
Rabbia e paura tendono immediatamente allo scarico e alla risoluzione, con la fuga o l'attacco, di uno stato conflittuale presente nella realtà.
Il gatto pertanto, qualora il pericolo-cane si affacciasse sulla scena concretamente, si troverebbe a scegliere la via di fuga (ad es. arrampicarsi su di un albero) o quella dell'attacco (fronteggiare il cane attaccandolo a sua volta).
Allo stato d'ansia normalmente fa séguito una strategia che mette in gioco l'aggressività e la risposta possibile che si prospetta è,come si è detto, duplice : la fuga o l'attacco.
Dalla minaccia o si scappa, o ci si difende affrontandola.
Quando lo stato d'ansia si debba protrarre per un tempo troppo lungo, chè il pericolo incombe ma non si concretizza mai in un qualcosa che si possa affrontare in una situazione concreta che preveda l'andare-verso una via di fuga o l'andare-verso scagliandosi contro ciò che costituisce la minaccia,
allora il perdurare parossistico dello stato di allerta comporta stress.
Lo stress prolungato diventa mano a mano sempre meno sostenibile fino a sfociare nell'ANGOSCIA.
L'Angoscia pertanto rappresenta uno stato, per dir così, di imbarazzato impaludamento nella paura che è diventata pànico e che non consente più alcuna risposta tra le due possibili: fuga o attacco.
Il risultato è la paralisi; una irresolvibile situazione di stasi, un'attesa vana di un qualunque movimento che conduca verso l'evitamento dalla fonte che costituisce minaccia.
Il campanello d'allarme continuerà a suonare e ad essere udito provocando una sorta di intossicazione da attivazione del sistema simpatico il quale finirà con l'assere vissuto come del tutto “ antipatico” (inteso nella sua accezione corrente come non opportuno e fastidioso).
L'Angoscia è uno status di sofferenza generato da una serie di cause legate tanto al mondo esterno quanto a quello psichico.
Diversamente dalla paura, l'angoscia immobilizza (razionalmente e sensorialmente) rendendo il soggetto passivo alla sofferenza, del tutto incapace di muoversi-verso.
Ansia e Angoscia sono due diversi registri emozionali attivati dal medesimo istinto primario- l'aggressività- che implicano un grado diverso di coinvolgimento: nell'un caso l'uomo AGISCE, nell'altro SUBISCE.

Ansia ed Angoscia, come risposte diverse ad un medesimo attivatore comune, l'Aggressività, sembrano infine l'esordio e l'epilogo di due diverse età evolutive: la giovinezza e l'età matura.
Se in giovane età (quando l'istinto esplorativo e discriminativo rende l'uomo vigile di fronte agli eventi e dispone ad un'agire da protagonista, da soggetto attivo presente a sé stesso) l'attivazione dell'ansia predispone più facilmente e rapidamente ad una risposta sanamente aggressiva, nell'età matura non è infrequente che il protrarsi di stati d'ansia sfoci invece in uno stato d' angoscia.
L'uomo maturo,civilizzato e urbanizzato in aree di sovraffollamento, condizionato da forti inibizioni sociali, esposto a croniche tensioni anticipatorie che non trovano una risoluzione comportamentale, spinto da eventi spesso inspiegabili ed immodificabili, alle prese con variabili impossibili a controllarsi, imbrigliato in rapporti sociali sempre più complessi, ansiogeni e frustranti, intorpidito nei sensi, intossicato da molteplici e reiterati stati d'ansia dove rabbia e paura non trovando immediatamente una possibilità di scarica o di risoluzione ingenerano livelli troppo alti di stress, frastornato da un sistema che corre troppo rapido spesso travolgendo e distruggendo inesorabilmente il preesistente, può finire col percepire se stesso come spettatore impassibile, paralizzato ed inerme, di necessità sofferente, alla lunga possibile vittima del “mal di vivere”.

Diceva il filosofo che nella vita “panta rei”, tutto scorre perchè tutto è movimento. Nella morte, al contrario, vi è stasi. Intendendo l'aggressività nel suo significato etimologico di muoversi-verso, ecco spiegato come essa abbia bisogno dell'ANSIA quale spinta vitale verso un movimento funzionale all'affermazione di sé attraverso l'esplorazione, la ricerca ,il lavoro,ma anche l'amicizia e l'amore (vincoli personali questi, sviluppatisi paradossalmente tantopiù in animali predatori fortemente aggressivi in cui si sia resa indispensabile la collaborazione intraspecifica ai fini della conservazione della specie).

Ma quando l'ansia sia divenuta troppo intensa, essa si tramuta nel sentimento dell' ANGOSCIA che al contrario risulta disfunzionale al movimento, a quel movimento che servirebbe da stimolo per abbandonare vecchi stereotipi dinamici e per trovare nuovi sistemi di adattamento.
Quando l'aggressività quale reazione istintuale collegata ai meccanismi arcaici dell'esistenza sostenuta dall'ansia e prima che l'ansia si possa trasformare in angoscia pervasiva e paralizzante viene meno, in qualche modo viene meno anche la vita.
Se l'ansia dunque è un segno di movimento e di vita, l'angoscia è un segno di paralisi che impedisce la vita.

venerdì 3 dicembre 2010

1-2-3, Si gioca a... "Facciamo che io Ero"

“Facciamo che io ero” costituisce il consueto preambolo al gioco tra due bambini: un gioco di ruolo dove ciascuno interpreta di volta in volta un personaggio diverso.
“Facciamo che io ero il cavaliere e tu lo scudiero, io la mamma e tu il bambino piccolo”, come una formula magica, mette in chiaro da subito quale sarà il contesto del gioco e quali i personaggi sulla scena. Nessuno dice o direbbe “facciamo che io sono”.
Come mai l'ausiliare -essere- viene usato nel tempo imperfetto ? Come mai c'è bisogno di un tempo diverso dal presente dove pure si sta svolgendo l'azione ?
E' intuitivo che l'area del gioco, spazio in cui si svolge l'azione illusoria, abbisogna di essere in qualche modo definita come un'area speciale, un'area in cui i protagonisti si comportano “come se”.
Tale area prevede una sorta di straniamento dal reale e dalle consuetudini che preveda di porre se stessi in un tempo, in un luogo, in una situazione altri e diversi.
Concordemente, nell'accingersi a giocare, i bambini prevedono a priori di calarsi in una illusione ( da in-ludere, appunto, giocare dentro) condivisa.
Sentono che il gioco, cosiccome la drammatizzazione che da esso ne deriva, ha però bisogno di essere circoscritto entro confini ben precisi, in un'area diversa da quella dell'hic et nunc che costituisce la realtà e il tempo presente.
Circoscrivere l'area del -qui e ora- da quella antecedente della definizione dei ruoli sulla scena, rappresenta la necessità di tenere distinti i due piani dell'illusorietà e della concretezza, del passato e del presente, di ciò che è stato stabilito nell'accordare parti personaggi e azione del gioco da ciò che viene agìto sulla scena ludica sul piano dell'illusorietà. Ciò nel mentre ciascuno non smette, purtuttavia, di sapere chi è per davvero.
Ma perchè lo spostamento dalla ineludibile realtà fattuale e circostanziale abbisogna del tempo imperfetto e non, per esempio, del futuro o del passato remoto ?
Sembra che, anche se i cuccioli dell'uomo non ne sono consapevoli, il significato letterale del termine imperfetto, disambiguato da quello più strettamente attinente all'analisi logica (non -perfetto- inteso come non -passato remoto -), ci aiuti a comprenderne l'utilizzo così diffuso nell'infanzia.
Sembra mettere chiarezza tra “persona”intesa come -colui che è come è- e persona nel suo significato etimologico -dal latino “persona”intesa come “maschera di attore”-.
Imperfetto allude infatti ad una forma “non perfetta”e dunque non del tutto calzante, non del tutto propria e adeguata, in qualche modo non congrua e non corrispondente alla cose-come-stanno, piuttosto che ad una caratteristica capace di collocare l'azione in un tempo-passato-seppure-da-poco.
Rappresenta l'imperfezione di chi si cala nella parte consapevole di stare calzando in qualche modo una maschera; di chi si cala nelle parti ad es. del cavallo pur non potendosi trasformare né realisticamente né credibilmente, in un animale a quattro zampe che nitrisce.
Se per giocare dentro le parti nell'illusione del gioco necessitasse far ricorso ad un qualunque tempo non-presente, tanto per rendere maggiormente significativo il bisogno di un allontanamento dalla realtà dell'hic et nunc, non si vede perchè non venga mai usato nemmeno il tempo al futuro: “facciamo che io sarò”.
I bambini, a qualunque latitudine, spontaneamente, si accordano dicendo: “facciamo che io ero” e in seguito, anche nel corso del gioco quando vi sia bisogno di un qualsiasi aggiustamento nel copione, continueranno a comunicare tra loro facendo uso dell'imperfetto “ adesso tu entravi nel bosco per andare dalla nonna...”.
E' come se l'azione del giocare si dovesse distanziare sempre, anche se di poco, dai preamboli concordati o dai continui aggiustamenti in corso d'opera . E' come se i giocatori sottintendessero: “quando tra poco cominceremo il gioco vero e proprio o quando sia necessario il passaggio ad un piano di realtà in cui si interviene come una voce fuori campo a suggerire via via nuovi sviluppi dalla trama, FACCIAMO di ricordarci dell'accordo preso per cui dunque io ERO già (per definizione) ad es. un cavaliere e tu eri già (per definizione) il cavallo.
Quindi giocheranno al presente un'impalcatura tecnica accordata poco prima, in un tempo passato da poco; un passato recentissimo capace tuttavia di sottolineare e circoscrivere l'illusorietà condivisa dell'agìto.
Facciamo come se io fossi diventato il cavaliere e tu il cavallo, ma entrambi noi, concordemente, sappiamo che non è esattamente così perchè lo abbiamo appena stabilito per regola, dunque nel mentre lo stabilivamo io ERO diventato il cavaliere e tu il cavallo. Modelleremo pizze e torte col Das, ci esorteremo vicendevolmente a mangiarle, le pagheremo e le gusteremo tra entusiastici apprezzamenti e gridolini di giubilo, ma nessuno di noi si sognerà di ingerirle per davvero.
Il necessario preambolo che dà l'avvio al gioco del -facciamo che io ero - rende possibile la percezione della pizza come SIMBOLO del corrispondente commestibile, senza tema di confusione tra realtà ed illusorietà fantastica.
In presenza di patologia invece, come per esempio nell'autismo, il gioco simbolico non si rende possibile: pizze e torte di plastilina sono considerate pizze e torte tanto quelle edibili, e potranno finire ingerite.
Non c'è mai stato nessun tempo in cui ERANO altro.
In patologia mancherà di sicuro il preambolo del “facciamo che io ero” che garantisce la presa di distanza dalla realtà immaginata o fittizia con la quale gli attori giocano “come se” fosse vera, e la realtà oggettiva delle cose-come-stanno.
Nella patologia accade qualcosa di simile alla condizione di estrema deprivazione, come quando la suola di scarpone di un affamato Charlie Chaplin viene gustata previa bollitura, alla stregua di un tacchino arrosto.

Per concludere vorrei riportare qui una variante del -facciamo che io ero- espressa genialmente da una bambina di pochi anni ogni qualvolta ella si riferiva a se stessa in un recente passato: “quando io SON-ERI piccola”.
Nell'espressione, per esempio, “ti ricordi quando io son-eri piccola e il mio orsacchiotto aveva perso un occhio...?”, l'utilizzo dell'ausiliare composto nella sua forma all'indicativo presente SON accanto all'imperfetto ERI, rappresenta un' abile sintesi (presente-passato da poco) che rende manifesta la consapevolezza dell'impossibilità per una piccola di autodefinirsi tale al passato mentre è ancora, a tutti gli effetti, piccola.
Ciò come se ci fosse bisogno di relativizzare ulteriormente per tenere separate due realtà (l'essere stata più piccola: ERI, dall'essere piccola ancora al presente: SON) altrimenti sovrapponibili e indistinguibili .
In questa coniugazione creativa e neologistica, la bambina dimostra tutto il suo sforzo di tenere disgiunto il piano dell'immagine di sè nel qui e ora, da quello fantasticato nell'evocazione del ricordo.
Se ne può concludere che le possibilità di crescere secondo uno sviluppo normale comporta lo sforzo di tenere ben distinta la realtà dalla fantasia; la realtà contingente nel qui e ora dalla evocazione mnestica di ciò che è stato; la percezione del reale oggettivo e oggettivabile dall'immaginazione (sogno, o fantasma, o mero ricordo che sia).



martedì 16 novembre 2010

Appunti di lettura nel tempo vacuum di un soggiorno nella culla della civiltà Mediterranea.

In questi alcuni giorni di vacanza,nella tranquilla cornice di un paesino Cretese tra colline e mare, mi è riuscito di leggere qualche libro che ho portato con me.
Giudico il primo, “Anatomia dell'irrequietezza”, che è giusto lo strisciante sentimento che mi si agita dentro per quanto in maniera subliminare, di Bruce Chatwin, inaspettatamente interessante.
Avevo letto altri suoi scritti e, fin dal primo, mi sono incuriosita e appassionata.
E' morto qualche anno fa ancora giovane, e si può dire perciò che, relativamente alla sua non lunga vita,  abbia davvero prodotto molto. Ha trattato temi vari perlopiù antropologico-culturali, con profondità e attenzione particolarissime, frutto delle sue esperienze di vagabondaggio in posti lontani : tra gli Aborigeni dell'Australia esplorando le Vie dei Canti con cui queste popolazioni di indole mite definiscono invisibili quanto precise mappe di conoscenza di quegli immensi territori perlopiù desertici; ai confini del mondo nella lontana Patagonia; fino a Timbuctù o lungo le antiche strade dei Tuareg, dei Caucasici o di altri nomadi come lui.
Ma in questo libro, il suo penultimo credo, mi hanno stupita non poco alcune “recensioni”che vi sono raccolte:  non tanto quella su Konrad Lorenz del quale conoscevo le alcune contraddizioni,quanto quella su Stevenson e più ancora su Axel Munthe sui quali ha gettato il discredito o, più verosimilmente, dei quali ha criticamente descritto anche “the dark side”.
Forse tutti noi, dopo tutto, abbiamo zone d'ombra e sembra inevitabile che sia così (sto pensando alla morale di Calvino ne il suo "Visconte dimezzato"). Eppure mi dispiace e credo che la mia anima romantica saprà cancellare l'eresia dissipando presto o tardi queste sgradevoli ombre che offuscano almeno due miei amatissimi miti, soprattutto il Dr. Munthe, leggendaria figura di nobile e generoso medico, strenuo difensore della vita e della salute anche dei più piccoli e bersagliati tra gli animali: le allodole.
E ancora, fa parecchio riflettere sulla necessità, per l'uomo, del viaggio.
Viaggio come esplorazione (dopotutto è mediante questa che si sviluppa la prima forma di intelligenza), come mobilitazione della curiosità (anche se nella sola memoria biografica come fu per Proust), dell'immaginazione e del dinamismo.
Dice che dal momento che l'adrenalina l'abbiamo tutti e l'abbiamo sempre, tanto vale tenerla opportunamente in circolo in modo innocuo e possibilmente piacevole, piuttosto che costretti, se altrimenti privati dei pericoli e delle asperità della vita, ad inventarci nemici artificiali come : malattie psicosomatiche, impegni e burocrazie varie, tasse e scadenze e, peggiore fra tutti, noi stessi, pensieri ruminanti e insoddisfazioni latenti incluse.
Quando siamo costretti a lungo nelle situazioni di monotonia, routine,  regolarità di impegni che inesorabilmente finiscono col produrre apatia, nevrosi, scontentezza, fino al disgusto di sé e allo spleen, rischiamo quella che Baudelaire definisce la malattia dell' “horreur du domicile”o quella che Tolstoj descrive come l'ultima, estrema, addolorata consapevolezza di Ivan I'lič morente.
Allora: se penso a me e a questo mio nomadismo stagionale (per quanto non si possa ravvisare una grande analogia tra me, chessò, la sterna artica), dovrei forse soltanto rallegrarmi anche quando, come oggi, mi dolgono perfino le ossa. Anche se, quella che chiamo la mia vacanza, diviene, dopotutto, solo “un cambiamento di fatica” (per usare parole di un mio buon amico divenuto ora scrittore d'un certo successo).
E forse non è vero quello che sosteneva mio nonno Mariano che “lavorare è fatica, la fatica fa male e il male fa morire”, perchè, così sembra, ...c'è fatica e fatica.
La fatica, inoltre, come opportunamente osserva Erri De Luca, avendo tradotto autonomamente in maniera assai più corretta e, soprattutto, non capziosa, il passo biblico “e tu donna partorirai con fatica (sforzo)”, è l'unica fonte di umana soddisfazione.
Se scrivo tutto questo, infine, non si pensi che trarrò utili, proventi, provvigioni o percentuali da un'agenzia viaggi.
E' solo che Creta è bella e... val bene un viaggio, per quanto discretamente impegnativo.

domenica 14 novembre 2010

1 parte: Aspettando la Pasqua Ortodossa (Creta: 25 aprile 1997)

Eccoci qui dopo un'intera giornata di viaggio e una notte di sonno buono mentre la gatta esplora prudentemente i terrazzi attorno.
Tutto è novità per lei ancora giovane. La vedo seguire impercettibili piste odorose e fermarsi a fiutare l'aria in direzione del mare, immobile con gli occhi ben chiusi in un'espressione concentrata che non le conosco.
Frotte di rondinelle con il capino rosso-mattone girano infaticabili sopra le nostre teste già piacevolmente appesantite dal sole.
Non è ancora mezzogiorno e ciascuno dei miei vicini, quelli stabili e gli altri arrivati come noi per la Pasqua Ortodossa, attende alle proprie faccende : quel marcantonione dal carattere iracondo (lo sento belare quando si rivolge al figlioletto e tuonare alla figlioletta) abbevera le cascate verdi delle sue fioriere; la Tedesca stende i panni; Maria sgrana le fave; il vecchio Stèlio, ora che gli è mancata la sua brava Sofia, provvede alle sue necessità sempre più lento; un bambinetto cimenta la sua perizia, émulo di Maradona o Costacurta, sfogando energia e intemperanze su un tetrapack vuoto di aranciata; e la nonnina attende, seduta al margine della strada, attende e basta.

2 parte: Pasqua a Creta

La notte di Pasqua , si celebra la Resurrezione (anàstasi) secondo un'antica e complessa liturgia.
Quest'anno(1997) le popolazioni dei due paesini, il nostro e quello qui sopra di Kutufianà, si uniscono nella chiesetta di quest'ultimo sulla sommità della collina; l'anno venturo sarà il contrario.
La messa incomincia mezz'ora prima della mezzanotte. Lentamente la piccola chiesa si va stipando.
Entrano pie donne attempate, perlopiù vestite di nero, e si segnano svelte accennando a una genuflessione.
Entrano famigliole abbigliate a festa con pargoli anche neonati. Giovani mamme vestono in lungo,infilate in succinti modelli assai poco parigini color rosso-fiamma e oro.
Sotto al voltino color cielo pallido picchiettato di stelle oro-chiaro, tutti stringono tra le mani una candela. Più sono piccoli più il cero è grosso, lungo, variopinto e variamente agghindato.
La cosa buffa è che ogni bambino brandisce un cero a cui è legato con grossi nastri un giocattolino, qualcosa come la sorpresa disvelata del nostro uovo di cioccolato. Senza nessuna fantasia, ogni bambina vi sfoggia una Barbie;chi bionda, chi rossa, chi bruna. (Li hanno comperati in giornata nei negozi “del centro”, dal cartolaio, al market e anche dal pasticcere).
Il rito procede monotono come il perenne accompagnamento vocale, ma con scarso raccoglimento.
Tutti,o poco o tanto, chiacchierano.
I bambini giocano; qualche monello (albanese?) minaccia invisibili nemici imbracciando il cero a guisa di Kalashnikov e qualche piccolino protesta con alti strilli finchè il papàs (prete) esce fuori dalla porta laterale, lentamente seguìto da tutti che finiscono con l'ammassarsi nel cortiletto adiacente.
Qui comincia la bagarre. Si sparano petardi contro l'effige di Giuda stupefatto, immoto quanto inerme spaventapasseri, e tutti sono invitati a infierirvi contro con il massimo accanimento.
I bòtti spaventano a morte i più piccoli e divertono pazzamente gli altri.
Bruciate anche le ultime polveri, quando del traditore non resta che uno scheletro fumigante,lo sciame rientra e riprende posto sugli alti scanni laterali di legno scuro o sulle seggiole impagliate,le stesse dei cafenìon, sotto ai solenni lampadari, luccicanti nei loro tanti bracci dalle tante candele e gocce di simil-cristallo.
Per ultimo il prete ,trovando la porta ormai chiusa e picchiandovi sopra fragorosamente per accertare che il Diavolo non lo abbia anticipato nell'ingresso, verrà fatto finalmente entrare dal chierico. Insieme, riprenderanno le lodi,un po'stonate, al Signore, pensando forse ciascuno al cenone che li attende. Si mangerà fino alle due ed oltre.
Il giorno appresso è Pasqua e i grassi agnellini hanno smesso di belare. Girano pazientemente nei cortili di ogni abitazione, infilati in lunghi spiedi grazie al lavoro di una piccola scatola elettrica che ne accompagna il moto con il suo lieve brusìo, costante e infaticabile nelle sei o sette ora di di cottura.
Nel loro perpetuo sfrigolìo sopra al braciere rosseggiante nell'ampia buca di terra, sprigionano vortici di fumo denso e chiaro dall'aroma irresistibile.
Intanto, i nostri generosi ospiti apparecchiano la lunga tavolata arrangiata in giardino sull'impiantito di cemento che circonda la solida, grande, vecchia casa di campagna protetta: qui dalla chioma d'un annoso gelso che comincia ora a rinverdire, lì da una pergola di vite, e circondata tutt'intorno da un'esplosione di fiori e di verde smagliante.
Il coro delle voci, le chiacchiere sommesse e pacifiche dei nonni (ne conto sei o sette), le grida festose dei bambini che si rincorrono (sembrano un esercito), le esclamazioni esultanti e golose di chi bada agli spiedi o tagliuzza cicorie, le balbettanti rimostranze di una bimbetta legata al suo enfant-sit, lo schiocco dei bicchieri sollevati in pericolosi quanto anticipati brindisi, gli schiamazzi esuberanti di un'orda selvaggia impegnatissima tra una disordinata partita a pallone e un nascondino sleale (a volte vengono nascoste anche le bambole), tutto prelude ad uno sfrenato baccanale i cui echi lentamente si spegneranno soltanto verso sera quando le brezze odorose dei fiori di maggio si faranno più fresche e i convenuti lasceranno la collina col passo un po' incerto.


Biennale di Venezia 2010 - People Meet in Architecture

Galeotto fu Passepartout e chi l'ha curato! Non potevo trascurare di dare personalmente perlomeno uno sguardo, per quanto frettoloso, a parte della Biennale Architettura 2010 di Venezia: con un biglietto double, valido per le esposizioni ai Giardini e all' Arsenale.
Ho ancora negli occhi le infinite, potenti suggestioni di allestimenti del tutto seducenti e, talvolta, stupefacenti. Nello straniamento di una Venezia, immota icona caliginosa brulicante di sciami umani variopinti e frotte di imbarcazioni a remi gareggianti coi vaporetti nell'intrico umido dei canali tortuosi, a braccetto con una cara amica di vecchia data, ho goduto delle infinite sollecitazioni di una mostra con la M maiuscola.
Peccato abitare così lontano, peccato che la Mostra vada a chiudere tra pochi giorni, peccato non averci speso almeno due giornate intiere, peccato non aver potuto disporre di un ginocchio sinistro di riserva, peccato...



Gli Spazi dell'Architettura - Passepartout Rai Tre - Biennale di Venezia 2010

lunedì 8 novembre 2010

Incontri prima della nascita "Gemelli si cercano in pancia"

SIAMO animali sociali, ed è facile osservarlo. Fin dai primi gesti di un neonato, che è portato ad imitare le espressioni facciali di chi gli sta davanti già pochi minuti dopo la nascita. Ma quando nasce in noi l'interesse per l'altro? E' possibile trovarne traccia anche prima di venire al mondo? Sembra di sì, stando ai risultati di un nuovo studio italiano che analizza il comportamento di feti gemelli nell'utero materno, arrivando a concludere che siamo in qualche modo "cablati" per la socialità e che le basi delle nostre interazioni con gli altri potrebbero svilupparsi già diversi mesi prima della nascita. 

Il lavoro dei ricercatori delle università di Padova, Parma e Torino, in collaborazione con l'istituto Burlo Garofolo di Trieste, pubblicato recentemente su PloS One, si è focalizzato sui gemelli nell'utero materno, che, a differenza dei feti singoli, regalano un osservatorio unico e privilegiato per indagare la propensione precoce alla socialità, proprio perché sono in compagnia. Osservandone i movimenti, gli studiosi, coordinati dal professor Umberto Castiello dell'Università di Padova, hanno visto che molto presto, già dalla quattordicesima settimana di gestazione, si verificano nell'utero movimenti controllati e diretti in modo specifico verso il gemello. "Non si tratta di movimenti riflessi o stereotipati. Sono organizzati ed hanno caratteristiche analoghe ai movimenti volontari dell'adulto", spiega Vittorio Gallese, professore di Fisiologia Umana al dipartimento di Neuroscienze dell'università di Parma, co-autore dello studio, insieme a Cristina Becchio, dell'università di Torino. I piccoli si cercano, e questa caratteristica diventa ancora più evidente quattro settimane dopo, quando i movimenti verso l'altro diventano più frequenti rispetto a quelli verso sé stessi. 

Usando l'ecografia quadridimensionale, una tecnica particolare che permette di visualizzare anche il movimento nel tempo, si sono "registrate" cinque coppie di feti gemelli in due precisi momenti, a 14 e 18 settimane. Si è visto che fin dalla 14esima settimana di gestazione i gemelli sono capaci di controllare i loro gesti in modo differente a seconda di dove questi siano diretti. Si toccano, si esplorano e lo fanno in modo estremamente delicato, più preciso rispetto a quando toccano sé stessi o la parete uterina.

"Uno dei parametri che permette di valutare la finezza del movimento è la decelerazione quando si sta per raggiungere l'obiettivo", dice Gallese. "Tanto più il movimento è preciso, tanto più si decelera per calibrarlo": proprio quello che è stato osservato quando un feto si rivolge verso il gemello. A guardare le immagini sembrano quasi coccole: si accarezzano la schiena, si toccano delicatamente la testa. Di certo, sono consapevoli del proprio vicino e preferiscono interagire con lui o lei. Tanto che a distanza di quattro settimane dalla prima rilevazione, alla diciottesima settimana di gestazione, i movimenti che i gemelli fanno verso l'altro aumentano mentre diminuiscono quelli verso di sé o verso le pareti uterine. Questi contatti con l'altro, poi, durano di più e sono più accurati di quelli rivolti a sé stessi. Anche i singoli feti acquisiscono lo stessa capacità di controllo del movimento, ma in ritardo di circa otto settimane rispetto ai gemelli.

E' la prima volta che si osserva qualcosa del genere ed è un successo tutto italiano, ancora più incoraggiante se si considerano le difficoltà della ricerca in tempi di magra come questi, in Italia. E questa predisposizione alla socialità "in erba" potrebbe rivelarsi utile, in futuro, come parametro per valutare lo sviluppo del feto e divenire spia, in caso di anomalie, di disturbi come l'autismo.

Si era già visto che sin dalla undicesima settimana di gestazione i gemelli stabiliscono contatti fra di loro, sottolineano gli scienziati nella ricerca, ma questo è il primo studio che affronta l'aspetto più critico, se, cioè, questa interazione sia casuale, dovuta alla prossimità spaziale, o invece pianificata. E dimostra che il contatto è frutto di una precisa pianificazione motoria. In altre parole, conclude Gallese, "conteniamo già in noi la dimensione dell'altro. E anche prima della nascita lo cerchiamo, in modo più accurato rispetto a quando non ci rivolgiamo verso di noi".

(Alessia Manfredi, La Repubblica - 8 novembre 2010)

sabato 2 ottobre 2010

Meeting Temple

Il Blog "Life on the Other Side of The Wall" di Aaron Likens

"The USAAA conference begins tomorrow and the panel session I am on is only two days away! I still can't believe I am on the same panel as Temple Grandin and I probably won't believe it until I am actually there. How did this all happen though? If someone would have told me a year ago that I would be where I am today I probably would have laughed out loud.

I have a hard time believing this because I never envisioned myself as a speaker. In fact, I hated to speak and communicate to any group that had two or more people in it. I can remember, in school, the only time I gave a presentation in front of the class that was halfway decent was when it was about auto racing and even then it wasn't all that good.

Temple Grandin and myself in 2006
Things are different now. I love the stage, I love being in front of a group, and I really love making a lasting impression of the autism spectrum. If I were to tell you that this just happened without inspiration I would be telling a lie. My inspiration came back in 2006.

I was just finishing up my book and someone had told my dad that Temple Grandin was coming to town to give a presentation in conjunction with the Saint Louis Science Center. At this point in time I knew who she was because the doctor that wrote the endorsement on the back of the book was a really big follower of her. I knew about her books, but was unaware that she gave presentations.


Back in 2006 I still had a narrow view of autism. I believed I was limited and defined by it (see my take of "Defining It" now at http://lifeontheothersideofthewall.blogspot.com/2010/07/defining-it.html). I believed that since I have an autism spectrum disorder I am unable to give a presentation. Yes, I know that logic was flawed, but I had nothing to prove it otherwise. That is, until I met Temple.


The event was moved from the Science Center to Saint Louis University Highschool due to the amount of people that were going to show up. I was confused to this because, at the time, I didn't realize the size or scope of her message and the fact that so many people are effected by the autism spectrum.


My dad made it a point for me to meet her and this, at the time, annoyed me. "What am I going to learn from meeting her?" I asked him. This question was just a false front because I simply don't like arranged meetings as it is just so awkward. What am I supposed to say? I kept telling my dad, "No!" yet I followed him towards her. As we got close I lowered my voice, but was saying rather quickly, "no no no no no no..." And then we met.


The conversation was somewhat short, but she drove home the message that people on the spectrum must be in a job that is in their area of interest. These words were depressing for me at the time because I just wanted to race cars. It is amazing though just how almost prophetic these words were because I fully understood this importance once I started working at TouchPoint.


As I said, the conversation was brief and then it was time for her presentation to begin. Once again I was amazed at the size of the audience and the fact that, as a collective whole, once she got on stage the whole room became eerily quiet.

Her presentation that night was primarily about animals, but in her Q & A segment at the end she answered a lot of questions about autism. As impactful as her words were the fact that she was up there, on a stage in front of so many people, was highly influential in my life. I didn't know it or understand it at the time, but a seed was planted in my mind that giving presentations are a possibility and that I shouldn't let autism define me.

I think about this and just how much things can change. Four years ago I didn't believe the potential each person has. Four years ago I strongly protested my dad making me meet her. Now I understand the potential and, while I hate to admit my dad was right, meeting her was one of the turning points in my life.

Four years have passed since that and in just 48 hours from when I write this I will be on the same panel as her.

If you aren't attending the conference you still can watch it live! All you have to do is click on the USAAA logo on the upper right to be taken to their ustream page. Times of each panel and keynoter are listed there, but I can tell you the panel I am on is on October 2nd at 10:30AM Central Time".

Potete guardare la conferenza registrata sul sito: http://www.ustream.tv/channel/usaaa

mercoledì 15 settembre 2010

Cenni su "La sindrome di Asperger"

La sindrome di Asperger, usata per la prima volta nel 1981, è la versione subclinica dell'Autismo e con essa condivide, anche se in grado assai minore, il distacco dalla realtà sociale condivisa.
E' un disturbo dello sviluppo caratterizzato prevalentemente da scarsità e difficoltà nell'interazione sociale, pur essendo di solito correlato ad intelligenza buona o superiore alla media, con una memoria spiccatissima quando non eccezionale, soprattutto di tipo eidetico. Il comportamento, in linea di massima, viene percepito dagli altri come strano o sgarbato in quanto inopportuno nel contesto sociale.
Il deficit del soggetto Asperger consiste nella difficoltà (di vario grado) di leggere i sentimenti delle persone dallo sguardo, nell'empatia e nell'intimità con gli amici, nella difficoltà cioè a percepire cosa succede nella mente di un'altra persona. Lo sguardo, peraltro, è spesso, perlopiù, evitato.
Per questa ragione, gli Asperger possono avere atteggiamenti egocentrici ed esagerati come anche eccessivamente ingenui. Sono sempre ipersensibili (qualcuno li definisce ipersensoriali: ipertatto, iperudito, ipervista...).
Il loro linguaggio, soprattutto la loro comunicazione, è puramente funzionale: consiste nello scambio di informazioni significative evitando le chiacchiere (è per loro impensabile parlare dei propri sentimenti o informarsi circa la salute di qualcuno in maniera spontanea e partecipata). Possono avere un vocabolario molto esteso e ricercato e competenze settoriali strabilianti. Hanno difficoltà a cambiare argomento, preferendo continuare incessantemente in quello che loro stessi vanno dicendo, in maniera pedante.
Possono altresì interrompere un dialogo passando ad altro, del tutto fuori contesto, spesso incuranti di sovrapporsi al discorsio altrui.
Fa loro difetto, in altre parole, il buonsenso o senso comune, anche se non è raro che partoriscano talora idee eccezionalmente geniali.
Possono incontrare difficoltà nelle attività scolastiche curricolari perchè difetta loro il pensiero astratto come quello deduttivo. Potrebbe sembrare che l'attenzione sia sia scarsa,più verosimilmente,piuttosto,la focalizzazione è bizzarra; non esercitano la logica per dedurre da ciò che è attinente sì che l'attenzione si concentra su stimoli irrilevanti. Conseguentemente, possono risultare difficili la comprensione del testo, la risoluzione di problemi, l’abilità organizzativa, lo sviluppo di concetti, ecc. Inoltre, la scarsa flessibilità cognitiva, poichè il loro pensiero tende ad essere rigido,rende loro assai difficile adattarsi ai cambiamenti, rendersi ragione degli eventuali fallimenti e sopportarli senza pesanti ripercussioni sul piano del comportamento e della fragile immagine di sè. Difficilmente imparano dai loro errori.
Tipici sono anche: una certa goffaggine motoria ed interessi ossessivi per soggetti insoliti (bizzarria).
A causa della loro scarsa flessibilità, della coartazione di interessi troppo circoscritti, dell'inabilità nell'affrontare i cambiamenti, della scarsa capacità di comprensione di scherzi, metafore ed ironia,risultano estremamente vulnerabili e candidati a rimanere vittime dello stress come pure degli atteggiamenti di celia,derisione o rifiuto da parte degli altri.
Non è raro che, fin dalla tenera età, vengano utilizzati nei loro confronti, appellativi come "piccolo professore", "sapientino", ecc.

Tale sindrome è maggiormente correlata al sesso maschile (taluni studiosi la ritengono l'esasperazione della tipicità del cervello maschile).
Sembra possibile osservare, con una certa frequenza, alcune caratteristiche Asperger-simili, in altri membri della famiglia e segnatamente nel padre.

Costituiscono l'aspetto sindromico :

- MENOMAZIONI QUALITATIVE NELLA COMUNICAZIONE
intonazione tendenzialmente monocorde, metrica povera, pedanteria, scarsa comunicazione non verbale, circoscritto interesse in tematiche "eccentriche"o "bizzarre", stile egocentrico che tende a produrre monologhi inflessibili su nomi, liste di date, ecc., mancanza di coerenza-aderenza al tema e reciprocità nel discorso.

- MENOMAZIONI QUALITATIVE NELLE INTERAZIONI SOCIALI RECIPROCHE
evitamento del contatto tonico, isolamento sociale, approcci goffi, scarsa empatia, insensibilità verso i sentimenti, le intenzioni e le comunicazioni non-verbali e implicite degli altri (per es. non risparmiando segni di noia e fretta di congedarsi, oppure misconoscendo la prossemica e/o le altrui necessità di privacy), mancanza di spontaneità e tempismo nell'interazione (naiveté sociale e rigidità comportamentale), compromissione nell'uso di comportamenti non verbali come sguardo diretto, espressività mimica, posture e gesti che regolano l'interazione sociale.

- MODALITA' DI COMPORTAMENTO,ATTIVITA' E INTERESSI RISTRETTI E RIPETITIVI
limitati campi di interesse (sui quali tende a dare implacabilmente lezioni), difficoltà di concentrazione. Talvolta si osservano disturbi alimentari (con rifiuti e selettività anche bizzarre).

- GOFFAGGINE MOTORIA e MALDESTREZZA
ad es. deboli capacità manipolatorie con scarsa coordinazione o ritardo nell'acquisizione delle abilità motorie (ad es.andare in bicicletta).

- VULNERABILITA'EMOTIVA
disturbi dell'umore, eccessiva reattività, con tendenza a sviluppare, secondariamente all'emarginazione sociale, disturbi d'ansia o depressivi.


Si ipotizza che personaggi del calibro di Newton e Einstein fossero affetti dalla sindrome di Asperger. Così pure il matematico indiano Ramanujan e Temple Grandin (docente universitaria e scrittrice e fortunata inventrice di un sistema di macellazione grazie al quale, tra le altre, ha guadagnato e guadagna verosimilmente montagne di dollari).
Per quanto riguarda l'eziologia, importanti passi avanti sono stati fatti dalle neuroscienze e dalla cosiddetta "neuroscienza sociale" (convegno scientifico tenutosi in Svezia nel 2003) sulla base delle recenti scoperte di: "cellule fusiformi", "neuroni-specchio " e del ruolo della dopamina -sostanza chimica che induce piacere- che il cervello stesso può produrre se opportunamente stimolato dallo sguardo. E' intuitivo che, nella sindrome Asperger, qualcosa non va nella neurochimica del cervello.



CENNI DI BIBLIOGRAFIA E FILMOGRAFIA:

- Donna Williams "Il mio e il loro autismo"
- Simon Baron Cohen
- Uta Frith
- Temple Grandin
- Daniel Goleman "Intelligenza sociale" Rizzoli (2006)
- Mark Haddon "Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte" Einaudi
- Nicholas Spark "Ricòrdati di guardare la luna"
- Film commedia: "Crazy in love"del regista norvegese Petter Naess (2005)
- film :"My name is Khan" dell'indiano Karan Johar (2010)
- film commedia "Adam" di Max Mayer.
- (in produzione) film sulla vita di Temple Grandin

martedì 14 settembre 2010

Fedro: è più felice chi ama o chi è amato? De Crescenzo: chi ama soffre come una bestia perchè è come affetto da una forma di esaurimento nervoso...

L'amore è cosa bella o brutta? Fa star bene o soffrire? E' più felice chi ama o chi è amato? L. De Crescenzo non la pensa come Fedro. Chi ama, dice, in verità è come affetto da una forma di esaurimento nervoso e soffre come una bestia...
Nel fantastico video di Luciano De Crescenzo viene spiegata la differenza tra le due Dee dell'Amore: Afrodite Pandèmia e Afrodite Urania; come dire amor sacro e amor profano. L'una rappresenta l'amore materiale, l'altra quello spirituale...

L'unica ossessione che vogliono tutti: l'amore. Cosa crede la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l'amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due.

- Philip Roth -

Il Simposio p. I
Il Simposio p. II