lunedì 8 novembre 2010

Incontri prima della nascita "Gemelli si cercano in pancia"

SIAMO animali sociali, ed è facile osservarlo. Fin dai primi gesti di un neonato, che è portato ad imitare le espressioni facciali di chi gli sta davanti già pochi minuti dopo la nascita. Ma quando nasce in noi l'interesse per l'altro? E' possibile trovarne traccia anche prima di venire al mondo? Sembra di sì, stando ai risultati di un nuovo studio italiano che analizza il comportamento di feti gemelli nell'utero materno, arrivando a concludere che siamo in qualche modo "cablati" per la socialità e che le basi delle nostre interazioni con gli altri potrebbero svilupparsi già diversi mesi prima della nascita. 

Il lavoro dei ricercatori delle università di Padova, Parma e Torino, in collaborazione con l'istituto Burlo Garofolo di Trieste, pubblicato recentemente su PloS One, si è focalizzato sui gemelli nell'utero materno, che, a differenza dei feti singoli, regalano un osservatorio unico e privilegiato per indagare la propensione precoce alla socialità, proprio perché sono in compagnia. Osservandone i movimenti, gli studiosi, coordinati dal professor Umberto Castiello dell'Università di Padova, hanno visto che molto presto, già dalla quattordicesima settimana di gestazione, si verificano nell'utero movimenti controllati e diretti in modo specifico verso il gemello. "Non si tratta di movimenti riflessi o stereotipati. Sono organizzati ed hanno caratteristiche analoghe ai movimenti volontari dell'adulto", spiega Vittorio Gallese, professore di Fisiologia Umana al dipartimento di Neuroscienze dell'università di Parma, co-autore dello studio, insieme a Cristina Becchio, dell'università di Torino. I piccoli si cercano, e questa caratteristica diventa ancora più evidente quattro settimane dopo, quando i movimenti verso l'altro diventano più frequenti rispetto a quelli verso sé stessi. 

Usando l'ecografia quadridimensionale, una tecnica particolare che permette di visualizzare anche il movimento nel tempo, si sono "registrate" cinque coppie di feti gemelli in due precisi momenti, a 14 e 18 settimane. Si è visto che fin dalla 14esima settimana di gestazione i gemelli sono capaci di controllare i loro gesti in modo differente a seconda di dove questi siano diretti. Si toccano, si esplorano e lo fanno in modo estremamente delicato, più preciso rispetto a quando toccano sé stessi o la parete uterina.

"Uno dei parametri che permette di valutare la finezza del movimento è la decelerazione quando si sta per raggiungere l'obiettivo", dice Gallese. "Tanto più il movimento è preciso, tanto più si decelera per calibrarlo": proprio quello che è stato osservato quando un feto si rivolge verso il gemello. A guardare le immagini sembrano quasi coccole: si accarezzano la schiena, si toccano delicatamente la testa. Di certo, sono consapevoli del proprio vicino e preferiscono interagire con lui o lei. Tanto che a distanza di quattro settimane dalla prima rilevazione, alla diciottesima settimana di gestazione, i movimenti che i gemelli fanno verso l'altro aumentano mentre diminuiscono quelli verso di sé o verso le pareti uterine. Questi contatti con l'altro, poi, durano di più e sono più accurati di quelli rivolti a sé stessi. Anche i singoli feti acquisiscono lo stessa capacità di controllo del movimento, ma in ritardo di circa otto settimane rispetto ai gemelli.

E' la prima volta che si osserva qualcosa del genere ed è un successo tutto italiano, ancora più incoraggiante se si considerano le difficoltà della ricerca in tempi di magra come questi, in Italia. E questa predisposizione alla socialità "in erba" potrebbe rivelarsi utile, in futuro, come parametro per valutare lo sviluppo del feto e divenire spia, in caso di anomalie, di disturbi come l'autismo.

Si era già visto che sin dalla undicesima settimana di gestazione i gemelli stabiliscono contatti fra di loro, sottolineano gli scienziati nella ricerca, ma questo è il primo studio che affronta l'aspetto più critico, se, cioè, questa interazione sia casuale, dovuta alla prossimità spaziale, o invece pianificata. E dimostra che il contatto è frutto di una precisa pianificazione motoria. In altre parole, conclude Gallese, "conteniamo già in noi la dimensione dell'altro. E anche prima della nascita lo cerchiamo, in modo più accurato rispetto a quando non ci rivolgiamo verso di noi".

(Alessia Manfredi, La Repubblica - 8 novembre 2010)

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