Siamo tutti attratti dal
viaggio, alla ricerca di un'isola, in qualche punto
negli sconfinati Oceani. I meno intraprendenti tra noi hanno bisogno
di un fattore accidentale, propulsivo per intraprendere il proprio
viaggio esplorativo. Talvolta hanno bisogno di situazioni
estremamente destabilizzanti come un naufragio, un qualunque
naufragio anche metaforico che li catapulti in un altrove
circoscritto dove mettersi alla prova: è una nuova nascita.
Per Robinson Crusoe,
il personaggio emblematico del romanzo di Daniel Defoe, pubblicato
per la prima volta nel 1719 e letto da un vasto pubblico fino ad
oggi, fu proprio così.
Sbarcato fortunosamente
su di un'isola che sembrava deserta, si industrierà a sopravvivere
contando sulle sue proprie forze e sul proprio ingegno, ripercorrendo
tutte le fasi dell'adattamento umano, dalla fabbricazione degli
utensili, all'addomesticamento degli animali, alla coltivazione della
terra, alla ricerca della spiritualità, per 28 lunghi anni.
La diffusione e
l'apprezzamento di quest'opera non sono mai venuti meno perchè, con
tutta evidenza, un po' come accade nella mitologia cosmogonica, nelle
pagine di questo romanzo anche il lettore moderno può ritrovarvi
tutti gli elementi che simboleggiano la nascita ed il percorso di
crescita fino al raggiungimento di un'armoniosa adultità. Il
protagonista del romanzo, passando attraverso le difficoltà del
travaglio e dell'abbandono dell'acqua intesa come Grande Madre, come
elemento amniotico agli albori della genesi umana, come fonte
battesimale in cui immergersi anima e corpo, come inconscio e caotico
magma, ci accompagnerà attraverso un lungo e non sempre facile
percorso di crescita, fino alla sua ri-nascita. Nella sua esperienza
sull'isola, attraverso il superamento di ogni tipo di difficoltà in
perfetta autonomia e solitudine esistenziale, ci illustra la
tribolata ricerca per una precisa definizione della mappatura dell'
Io, fino all'individuazione del proprio profilo e del senso della
propria identità.
L'avventura di Crusoe
prende inizio con la sua separazione dal padre, del quale ha ignorato
il consiglio a non abbandonare un'agiata e più prudente vita
borghese. Salperà in nave, avventurandosi nel mare, in quel
possente organismo, immenso, pressocchè infinito che, nel suo essere
impetuoso, ambiguo, enigmatico, cangiante, suadente, riposante, ma
anche potenzialmente distruttivo, è metafora della nostra matrice
nonchè della nostra vita interiore ricca di ogni potenzialità
ancorchè sconosciuta, nell'intento di sfuggire all'inspiegabilità
del mondo, alla sua fossile geologia, alla sua razionalità.
In mare dunque inizia il
suo viaggio che diviene
sfida, bisogno d'avventura, desiderio di libertà, prova di
conoscenza, ricerca del nuovo, superamento degli ostacoli, evasione,
ma anche adattamento, prova e verifica delle proprie esperienze,
misura delle proprie capacità di sopportare fatica e sforzo
necessari per conquistare e farsi conquistare, alla ricerca
dell'entusiasmo
(en-theòs,
dio
dentro), di quella
matrice spirituale che, a saperla invocare, talvolta percepiamo in
noi come anelito cui tendere fatto della stessa sostanza immateriale
dei sogni. Il viaggiatore muove verso un territorio del desiderio
(de-sidera,
(essere lontani) dalle stelle)
dove lo aspettano nuovi
orizzonti, verso un luogo-altro, incoraggiato da curiosità e
speranze, alla ricerca del proprio spazio interiore, della propria
anima, spinto da un'autentica vocazione a conoscere se stesso. In
speranzosa attesa confida, come i desiderantes
nel De Bello Gallico,
che i compagni soldati, reduci dalla battaglia, possano fare ritorno.
Il
viaggiatore, sballottato dal caos della tempesta nei momenti
drammatici del suo naufragio, farà dunque approdo in un' isola
sconosciuta e remota cui lui stesso darà il nome di Isola della
Disperazione. Eppure, qui giunto, non sarà mai preda del sentimento
che ne caratterizza il nome, e potrà anzi iniziarvi il suo cammino
verso una personale redenzione. Si dispiace, questo è vero,
della mancanza di una pipa, con cui poter fumare il tabacco di cui
l'isola è ricca, come pure si dispiace della mancanza di compagnia,
almeno fintantochè non vi troverà Venerdì, cannibale redento
salvato alla furia giustizialista dei suoi stessi simili, sorta di
presenza umbratile e servizievole alter-ego. Ammette sovente la
propria stanchezza e lamenta la monotonia delle prime fatiche
quotidianamente sempre uguali. Anche dopo che diverrà consapevole
della presenza di tribù ostili e potenzialmente pericolose in quanto
antropofaghe (si allude forse alla minaccia cannibalica del simile
che ingloba il simile, alle tentazioni come parti cattive di sè che
non si vogliono introiettare?), reagisce senza mai abbandonarsi
all'inerzia. Si proteggerà con un fortino, fino a sconfiggerli,
senza mai giungere alla disperazione. In generale misconosce la noia
e ripudia gli eccessi, come quando gli càpita di trovare tre grossi
barili di rhum e dimostra di saperli amministrare centellinandoli e
facendoseli bastare fino alla fine. Non si abbandona mai ad idee
suicide o di massimo scoramento che pure avrebbero potuto maturare in
lui se non fosse che sempre sa reagire alla paura, al dolore, alla
noia e alla dipendenza da certe comode abitudini, con coraggio e
determinazione. Anche se non smette mai di sognare la fuga, ben
presto arriva a godere nel sentirsi, dopotutto, padrone
dell'isola. Il resto del mondo diviene progressivamente cosa
sempre più lontana, da cui nulla deve attendersi, e con cui, nulla
avendo a che fare, verosimilmente nulla più avrà a che fare,
giudicando perciò inutile struggersi nella nostalgia. Sembra
conoscere il cammino verso la saggezza, la soterìa, la salvezza del
viaggio di Amore, a partire da sè, ma non per sè.
Accettare la finitezza
dell'isola, i suoi confini e le sue risorse, è il segreto del suo
relativo benessere anche nella condizione di naufrago privato di ogni
passata comodità. Il segreto della sua sopravvivenza nella
solitudine consiste nel suo saper accettare il limite. Il
soggiorno nel selvaggio approdo viene da lui considerato come
conseguenza della propria imprudenza e non già della propria
impudenza. Riconosce il proprio spirito d'avventura come anelito di
libertà e autonomia e come causa del cambiamento; non ravvisa in
sè nessuna hybris sentendo quindi, in certo qual modo, di
stare pagando un giusto prezzo che nulla toglie alla sua attuale
possibilità di adattamento e godimento futuro. Invoca il sostegno
della Provvidenza, ma non tiene mai le mani in grembo nell'attesa
d'una catarsi o di un prodigio. Si dà da fare con le sue proprie
mani adoperandosi con tutto l' ingegno di cui dispone e, nella
piacevolezza dell'operosità quotidiana, si riconosce artefice della
sua propria sorte. Motore egli stesso del suo viaggio, spinto dal
desiderio di conoscere e di conoscersi, si è reso libero di
approdare verso nuovi orizzonti. Nel quarto di secolo della sua
permanenza, Robinson prepara in verità anche il proprio ritorno a
casa e, con esso, il futuro matrimonio, la soddisfazione della prole
che non gli mancherà, fino alla ripartenza dopo la morte della
moglie, ancora una volta verso l'isola.
In questo senso, ciascuno
di noi è Robinson, chiamato a misurarsi nel mare sconfinato delle
conoscenze e delle opportunità fino a trovare se stesso nell'isola
del proprio io. E' è solo così, attraverso il viaggio di
esplorazione nella propria isola esistenziale, svezzandosi dalle
eccessive comodità e dalle sovrastrutture dalla separazione all'
individuazione, che ciascuno sarà poi pronto a confrontarsi con
l'Altro attraverso Eros, un amore maturo che sappia cosa offrire di
sè, e cosa chiedere all'Altro-da-sè, che abbia cognizione di chi si
è nella propria individualità e di chi è l'Altro.
Il soggiorno presso
l'isola si rivela pertanto un'esplorazione in un luogo metastorico in
cui l'assenza dei conflitti umani e della complessità di un mondo da
cui si sono prese le distanze, accoglie l'utopia di un esilio
paradisiaco di autoesclusione, finalizzata a sottrarsi all'invadenza
di una vita concreta e alle sue sempre urgenti e rissose impellenze
storiche: uno spazio nuovo, di abitudini sobrie, essenziali, e per
questo di più libero movimento, senza lacci e lacciuoli, senza altri
padroni che se stessi. Ma è un soggiorno che, in totale assenza
dell'incontro con l'altro, con il diverso, tornerebbe ad essere
deludente e insostenibile. Rischierebbe di rivelarsi un' esperienza
narcisistica negativa, destinata soltanto a farlo ritornare alla
Madre anzichè in Patria, come quella di Narciso che, dando amore
solo a se stesso, non avendo portato a compimento il suo ciclo
vitale, è destinato ad un viaggio senza ritorno, dall'acqua
all'acqua, per annegamento, in un fatale ricongiungimento mortifero.
Un' esperienza narcisistica positiva invece, ove l'acqua abbia
funzione di specchio capace di far riconoscere oltre alla bellezza e
consapevolezza di sè, anche la bellezza dell'esistente ivi compreso
l'Altro, consente e il viaggio, e il ritorno, e altre successive
ripartenze.
Il tema metaforico è
quello stesso che nei secoli riappare di frequente. Penso all'epica
di Omero che ci narra delle vicende di Ulisse (Odisseo) con
tutte le sue distrazioni adolescenziali (le prove di autonomia, le
infatuazioni) ed i momenti regressivi talassali (i reiterati viaggi
per mare con i relativi inciampi). Penso cioè, per esempio, alla
consapevole paura che l'Eroe prova in mezzo all'immensa distesa
d'acqua nei confronti del canto delle sirene come metafora della
seduzione, del potere ipnotico e paralizzante della voce materna,
amata prosodia udibile fin dal principio nell'ambiente uterino
liquido, amniotico paradiso perduto, beatitudine oceanica, regno
dell'indifferenziazione da cui tutto trae origine. E' noto a tutti
che il signor Nessuno (Odisseo), solo dopo un lungo e tribolato
viaggio durato 20 anni può far ritorno a casa, riconciliandosi
finalmente con i suoi affetti adulti e, sbaragliati i contendenti (i
Proci), ricominciare a sentirsi Qualcuno. Il suo cambiamento è un
cambiamento interiore. Quantunque sia invecchiato entrando nella
piena maturità, viene infatti riconosciuto, con stupore forse, ma
senza alcuna esitazione, dalla nutrice che lo vide piccolo e dal suo
fedele cane Argo.
Penso inoltre a due
esempi di narrazione nella più recente produzione cinematografica.
Mi riferisco, per quanto concerne quest'ultima, a pellicole quali:
"Travolti da un'insolito destino nell'azzurro mare d'agosto"
della regista Lina Werthmuller, e "Cast away"
nell'interpretazione magistrale di Tom Hanks. In entrambi i film
troviamo elementi comuni, il naufragio e l'isola con la sua natura
aspra e incontaminata: paradigmi analoghi, ma con epiloghi diversi.
Nella narrazione della
vicenda citata per prima, vediamo la compianta Mariangela Melato nei
panni di Raffaella, una sofisticata, riottosa milanese, agiatissima
donna di mondo, poco simpatica fin dall'inizio anche a causa della
sua erre blesa, assieme ad un giovane Giancarlo Giannini nei panni
del giovane mozzo di origini siciliane al suo servizio nello yacht da
nababbi di lei. I due finiscono naufraghi tra le sabbie dorate del
loro approdo di fortuna circondato dal mare e, qui, Cupido scocca le
sue frecce facendo ribaltare la situazione. Una volta dismessi gli
scomodi panni di umile e rozzo sottoposto schernito e dileggiato
fintantochè era a bordo, lui diviene finalmente il suo ardente
amante di lei appassionata succube proprio a causa d'un insolito
destino che, sull'isola, ne ribalterà i ruoli. Anche lei dunque
sembra corrisponderlo con passione subendo con piacere il
trattamento, esilarante in verità perchè vendicativo e machista,
corrispondente all'immagine pregiudizievole del maschio siciliano.
Tutto ciò in un crescendo di passione e di intesa finchè lui la
convince a ritornare alla civiltà e alla vecchia routine, per
metterla alla prova, verificando se davvero lei voglia ripartire
convintamente, per scelta questa volta, insieme a lui sull'isola.
Ma ecco che Raffaella,
alla prova dei fatti, diserta l'appuntamento per la ripartenza e lo
lascia sul molo solo e disperato, sotto un'implacabile canicola. In
concreto, il sogno di fare ritorno nel paradiso perduto, non è un
sogno, semmai lo è stato, condiviso e condivisibile.
La scena finale è una
zoomata di allontanamento che vede il semplice marinaio Gennarino,
inutilmente vestito a festa, rimanere ad imprecare nel suo
coloritissimo idioma nel mentre lei si alza in volo comodamente
seduta in elicottero a fianco del marito.
Nel secondo film che ho
citato, il protagonista Chuck Noland, in un'isoletta spersa nel
Pacifico, sopravvive servendosi all'inizio dei relitti che il mare
gli restituisce: i pacchi della Fedex, compagnia di spedizione per
cui lavorava. Un pallone da calcio dipinto col proprio sangue in
maniera che sembri un volto umano ed un piccolo ciondolo con la foto
della fidanzata deposto su una sorta di altarino nel fondo della
grotta in cui ripara sono i suoi unici interlocutori muti, e gli
alleviano la solitudine come oggetti transizionali dal potere
soterico. Dopo anni e anni di permanenza, viene raccolto finalmente
da una nave di passaggio e può fare ritorno al luogo da cui era
partito. Niente qui è rimasto come l'aveva lasciato. Anche lui non è
più lo stesso. Quella che gli era fidanzata gli manifesta ancora
amore, ma ora è sposata e ha una figlia. Gli assalti dei media e dei
curiosi ben presto lo rendono frastornato. Così lo vediamo prendere
le distanze da quel mondo caotico e ciarliero. Si rimette in
viaggio, questa volta in automobile. Porta con sè un pacco, il
trait-d'union con la sua vita solitaria, che negli anni ha voluto
preservare unico tra tutti ancora imballato, per la consegna seppure
tardiva alla legittima destinataria. Lei è assente, quindi, arrivato
a destinazione, deposita l'involto sull'uscio della casa di lei
congiuntamente ad una nota di ringraziamento (!). Quindi procede
finchè non si trova ad un crocevia, sperduto nella vastità della
campagna texana. Fatalità, qui incontra proprio la destinataria che
cercava e approfitta, in mezzo a tanta desolazione, per chiederle
delucidazioni circa il dove ciascuna delle tre diverse strade
conduca. Una, gli viene detto, congiunge con la statale, un'altra è
una strada che "porta al niente fino al Canada", la terza è
quella da cui è venuto e che conduce alla casa di lei. Si congeda
sorridendo enigmatico nel mentre sembra tentennare, indeciso sulla
direzione da prendere. Intanto fissa, rapito e sorridente, il retro
del furgone di lei che si allontana su cui campeggia, quasi
ammiccante, il logo della ben nota ditta di spedizioni Fedex con lo
stesso paio di ali stampigliate sull'involto sdrucito del pacco.
Da questo momento in
avanti possiamo immaginare che possa solo andare avanti e procedere
verso una vita che non sarà più come era.