E' opinione comune che
saggi non si nasce, saggi si diventa. La saggezza o sapienza, sembra
essere un qualcosa che si acquisisce di pari passo con l'età come
una sorta di ricompensa del lungo evolversi della mente. Una specie
di risarcimento per controbilanciare l'avvizzimento, la presbiopia,
la perdita dei denti e della memoria retrograda. E' il paradosso
esistenziale dell'invecchiamento: compensa ciò che si perde. Più
si invecchia, più si ha la possibilità di sviluppare un
investimento oculato delle energie psicofisiche, si controllano
meglio gli impulsi e si diviene più capaci di autocritica.
Saggezza è, potremmo
dire, il contrario dell'audacia e della sventatezza, è osservare
l'11° comandamento, quello che recita "non esagerare!"
Saggezza è sensatezza,
è accortezza, è prudenza, è sapersi risparmiare,
è saper tesaurizzare, è, se del caso, piegare la gobba
oggi per raddrizzarla domani. E' anche non mancare ai riti di
passaggio, come direbbe il Malaussène di Pennac, "accettando i
mutamenti ma non le mutazioni, ingrossando senza gonfiare, maturando
senza avvizzire, evolvendo e valutando, progredendo senza rimbambire,
invecchiando senza troppo ringiovanire, accettando di morire senza
protestare". Perchè "è nulla il morire, spaventoso è il
non vivere" (Gramellini "Fai bei sogni").
Saggezza è la
capacità di valutare in modo corretto, ponderato ed equilibrato le
varie opportunità scegliendo secondo ragione ed esperienza.
Saggezza è non farsi
prendere dall'autocompatimento, ed è anche trovare il proprio
modo di opporsi a certe realtà per trasformarle nel sogno che ci
abita dentro, scartando le speranze che siano solo futili e
illusorie per abbracciare convintamente il motto oraziano del carpe
diem al fine di non sprecare nemmeno un giorno.
Mano a mano che
decrescono la forza muscolare, la durata del sonno filato e in
generale molte altre prerogative di gioventù, cresce invece, come
una forma di risparmio, l'attitudine naturale ed istintiva a lasciar
perdere dove non valga la pena di accanirsi, utile a concentrarsi
solo laddove vi sia una buona probabilità di riuscita, di successo.
La saggezza è una
possibilità che ci si offre: sta a noi scegliere se sia un dono
o una menomazione che ha il sapore della resa. Forse aumenta la
capacità di sopportazione mano a mano che diminuisce l'impazienza.
E' come se la mente si abituasse a fare, perennemente e in
automatico, un bilancio tra l'essenziale e il superfluo per
suggerirci di volta in volta dove valga la pena di investire energie,
anche quelle che servono ad arrabbiarsi e indignarsi, o a perdonare
senza per questo dimenticare come fa l'ingenuo.
Secondo gli stereotipi
più diffusi, la saggezza è impersonificata dal gufo con
gli occhiali o dalla tartaruga (vedi "La spada nella
roccia" di Walt Disney e "Momo" di Michael Ende).
Entrambi questi animali
rappresentano inequivocabilmente la vecchiezza (per il richiamo ad
una longevità straordinaria, alla rugosità e alla lentezza
dell'incedere nella tartaruga, o per la latenza di risposta
nell'apparente tendenza al black-out nella letargia del gufo,
oltrechè per l'inesorabile perdita di una precipua caratteristica,
l'acutezza della vista (quantunque compensata con la capacità di
essere maggiormente pre-videnti) in entrambi.
Protetta dal suo freddo
carapace, nel quale è pronta a ritirarsi in piena autonomia
autistica, la tartaruga
incarna al meglio la rappresentazione del vecchio, non tanto in
quanto creatura ctonia e tenebrosa per via di quei suoi occhietti
ostili che le conferiscono un'espressione maligna e poco affidabile
(il che giustifica certo timore repulsivo che talora certi vecchi
incutono segnatamente nei bimbi piccoli), ma in quanto creatura lenta
che sembra bastare a se stessa, capace però, all'occorrenza, di
improvvise accelerazioni e di scatti imprevedibili ("mettere il
turbo" se trova il cancello aperto, addentare svelta con il suo
temibile rostro un cibo prelibato) alternati alla prudente placidità
del sonno letargico. Questo animale, come il gufo che sembra
dormiente ma è capace di un guizzo con un solo colpo d'ala,
può avere, talvolta, la miccia corta. Tale e quale al vecchio che,
invecchiando, rivela paradossalmente più energia, più carattere e
non già più morte, come il vecchio a cui "l'età arrugginisce
il giorno a prima sera, ma sveglia l'animo fin dalle prime luci
dell'alba" (Erri De Luca, "I pesci non chiudono gli
occhi").
E' dunque più d'ogni
altra la lentezza, come nei
due animali summenzionati,
a caratterizzare il vecchio e insieme saggio perchè, forse, proprio
nel procedere del
pensiero
che si fa più lento e pertanto riflessivo, questi trova tutto
l'agio di annodare fili perduti e tempi morti in un'unità di senso,
come già accade nella scrittura, che di per sé è necessariamente
ripensamento. E "la lentezza pensosa corrisponde alla levità, a
quella leggerezza
pensosa
che può far apparire la frivolezza come [invece] pesante e opaca".
La speculazione dell'intelletto all'insegna della leggerezza può
consentire di innalzarsi alla contemplazione universale; l'agile
salto improvviso della mente del sapiente, o del poeta-filosofo, il
suo festinare
lente,
lo solleva dalla pesantezza del mondo e da quelle sue caratteristiche
di apparente vitalità dei tempi, "rumorosa, aggressiva,
scalpitante e rombante", che invece rimandano il saggio ad
immagini pre-videnti dove c'è movimento veloce ma non c'è vita,
immagini statiche e mortifere, "come un cimitero d'automobili
arrugginite" (per usare le parole di Italo Calvino nel suo
"Lezioni americane").
La saggezza dunque
corrisponde, come si diceva, ad un'acquisizione di energia e al pieno
sviluppo del "carattere"
inteso come sommatoria delle qualità distintive di un individuo,
come "stile estetico dai tratti durevoli, quale si esprime in
gusti e comportamenti individualizzati, [e] forza strumentale capace
di influire su ciò che ciascuno apporta al pianeta",
corrisponde altresì al coraggio di essere curiosi, di liberarsi
dalle convenzioni indagando la verità (la aletheia dei
Greci)". (vedi Hillman, "La forza del carattere"). In
questa straordinaria, eccitante avventura, il vecchio esplora
maggiormente col pensiero, mentre il giovane esplora con il corpo in
movimento. Se è saggio, il vecchio sa dedicarsi all'otium
come attività necessaria alla ri-flessione su
se stessi e sul passato, a quel movimento circolare dell'anima
verso se medesima, verso le origini ricche di senso della sophìa,
necessarie al negotium,
nel rispetto di quel sano amour
propre di cui parlava Rousseau,
così diverso dall'egoistico amour de soi meme.
Se nel corso della vita hai imparato a divertirti con te stessa, dice
un personaggio femminile non più giovane di Manuela Serrano nel suo
"Dieci donne", continuerai a farlo. E il divertimento del
vecchio, inteso come possibilità di provare piacere, consiste anche,
e soprattutto, nell'esercizio del pensiero e dell'immaginazione. Nel
saggio essa è orientata alla trasformazione sociale, per un
superamento di una coscienza egologica
a favore di una coscienza
ecologica.
Saggezza è quella
virtù dell'anima che sa mantenersi il più possibile lieta,
relativizzando, pensando positivo, venerando il dio delle piccole
cose, giudicando ciò che è bene lasciar perdere da ciò che vale la
pena di perseguire. Si può far questo a qualunque età,
naturalmente, ma a partitre dai 60 anni, diventa più facile.
L'esperienza conta molto perchè acuisce il giudizio.
In gioventù si è
disposti a credere, a prestar fede, in maniera affrettata e
imprevidente. La curiosità è grande e pressante e, per muoversi
agevolmente tantopiù sotto la pressione dell'urgenza, si ha bisogno
di un terreno il più possibile spianato e libero da ostacoli. La
curiosità giovanile non è ancora una modalità intellettuale del
desiderio, è più un prurito. In gioventù ci si infervora ed è più
facile avere un atteggiamento fideistico; se si ravvisassero tutte le
difficoltà e le insidie (ovvero il concetto di Lupo Alberto che la
sfiga è sempre dietro l'angolo) interverrebbe di sicuro la paralisi,
che di sicuro non orienta la conoscenza.
Con l'età matura si è
più prudenti, in genere si è imparato a ridimensionare le
aspirazioni, ad economicizzare le energie e, dunque, gli
investimenti. Si è imparato a discernere con più facilità, ed
anche ad essere più attenti agli altri e ai loro bisogni, forse
perchè questi ultimi potrebbero diventare i nostri e, secondo la
strana matematica dell'amore, declinato in tutte le sue forme anche
nell'amicizia, chi più spende e si spende, più avrà la possibilità
di ottenere la solidarietà e la generosità dell'altro a sua volta.
Se si è imparato ad
essere previdenti per amore
di sè e dell'altro, ci si esporrà ad un rischio, per quanto
possibile, calcolato.
La saggezza implica
rinunciare al muro contro muro, nelle relazioni come nelle
discussioni che siano improntate all'ignoranza e al fanatismo. Di
fronte alla rigidità, anche del pensiero, di certuni, il saggio
contrappone la morbidezza e l'accoglienza più che una fiera e
accanità ostilità, ben sapendo che in taluni casi è meglio
soprassedere. Diviene più esperto nell'arte della diplomazia. Chi
era più saggio, Galileo Galilei o Giordano Bruno? Entrambi erano
certi, ad onta di quanto dichiarato nella Bibbia, che fosse la Terra
a girare intorno al Sole, ma il primo, duro e puro, non potè evitare
di farsi bruciare al rogo, il secondo, abiurando, ebbe salva la vita
e potè ugualmente affermare e diffondere la sua teoria attraverso i
suoi scritti. Saggezza è pertanto anche disincanto.
La saggezza quale "prima
condizione della felicità" (vedi "Antigone" di
Sofocle), è un fenomeno psicologico e sociale.
Secondo E. Goldberg ,
neuropsicologo di fama mondiale ne "Il paradosso della
saggezza", non è affatto vero che cervello e funzioni mentali
abbiano necessariamente a deteriorarsi con l'età, al contrario
sviluppano la capacità di riconoscere modelli, capaci di
integrare pensiero ed esperienza usando meglio l'emotività,
l'empatia e l'intuizione.
La saggezza, che è altro
dal talento, dalla genialità, dalla creatività e dal pensiero
originale, secondo questo studioso, corrisponde piuttosto a "doti
di competenza, expertise e riconoscimento di modelli cognitivi
intesi come
classi di oggetti o di problemi che catturano l'essenza di una vasta
gamma di situazioni specifiche e di azioni le più efficaci associate
ad esse", ma non solo. E' conoscenza esperta, che
consente di connettere il nuovo con il vecchio applicando
l'esperienza precedente alla soluzione di un nuovo problema; essa non
trascura mai, insieme agli aspetti intellettuali, gli aspetti
morali, spirituali e pratici. E'conoscenza, oltre che
dichiarativa (classificativa, descrittiva, che risponde alla
domanda "cos'è?"), anche prescrittiva
(che risponde alla domanda "cosa dobbiamo fare?"), e ci
dice pertanto come agire,
orientandoci nella scelta del comportamento più opportuno.
La sola competenza
disgiunta dalla conoscenza prescrittiva che ci metta nelle condizioni
di decidere come agire rispetto alle cose e non solo di
classificarle, può efficacemente combattere i fenomeni
neurodegenerativi e la neuroerosione (la neurogenesi, dopo tutto, per
quanto in forma sempre più rallentata, sappiamo che continua per
tutta la vita), ma non può garantire la saggezza.
Nell'introduzione che
Mattew Fox fa del suo volume "In principio era la gioia",
la saggezza (o sapienza, wisdom in lingua anglosassone) viene
considerata nell'accezione dei nativi americani come ciò che
consente alle persone di poter vivere. Vivere, non sopravvivere.
E vivere "significa anche bellezza, libertà di scelta, dare
alla luce, avere una disciplina, celebrare con gioia" procedendo
congiuntamente, al di là dei particolarismi e dell'individualismo
con l'aiuto di tutti, nell'interesse di tutti, in una visione
ecologica.
Secondo
questo autore la saggezza è promuovere un risveglio scientifico che
riconosca la Terra come elemento prezioso in cui trovare la presenza
immanente di Dio, recuperando così la tradizione spirituale che
mette al centro il creato. Saggezza è andare oltre la guerra come
strumento di risoluzione delle controversie, è ripensare a cosa
significhi il lavoro; è affrontare la crisi con giudizio (dal greco
krinein,
giudicare dopo aver passato al vaglio) traendone l'opportunità di
superarla preservando la dignità individuale anzichè distruggendola
e distruggendo con essa i rapporti sociali. Ogni tipo di crisi
(energetica, del cibo, del lavoro, ecc.) può essere superata
attraverso un ecumenismo globale e il recupero della dimensione
universalista delle religioni, ovvero della spiritualità. Si rendono
necessari, a suo dire, i movimenti di giustizia e liberazione, ivi
compresi i movimenti femministi, perchè la sapienza viene
specialmente dagli anawim,
coloro
che sono dimenticati e oppressi,
e
dalla prospettiva
di ridare dignità alle minoranze che, in quanto tali, hanno perduto
il diritto al lavoro, alla gioia, alla dignità, alla spiritualità,
alla partecipazione del sacro, ecc.
Affrontare
la crisi con giudizio può anche voler dire, con riferimento a quella
alimentare, giudicare il vegetarianesimo una fonte di
approvvigionamento proteica più economica e sensata e meno
inquinante di quella che includa la carne; può voler dire tendere ad
un approvvigionamento di energia pulita, ad un non spreco dell'acqua,
alla non indiscriminata cementificazione, e così via.
E'
necessario, sostiene ancora, recuperare la speranza (perchè, come
dice Erik Fromm, quando , questa è debole ci si accontenta delle
comodità o della violenza) lottando contro la cupa ideologia del
peccato originale e insegnando che al principio era la gioia, e non
il peccato delle origini. Il senso di colpa acquisito ab origine, per
quanto inconscio e oscuro, non consente alcuna scelta, alcuna
saggezza. La vita, dice, deve essere vissuta con passione, gioia e
creatività, incoraggiata dalla bene-dizione laddove sia il bene ad
essere originario, e non già dalla male-dizione di una colpa a
priori e di un peccato, affinchè sia la benedizione che tutto
origina e tutto mette in moto.
Per
tutto ciò, "occorre pertanto una trasformazione educativa che
superi l'identità patriarcale, con i suoi correlati di cinismo e di
pessimismo, che superi l'identità dualistica e violenta delle
contrapposizioni; occorre affidarsi, oltre che al sapere, al sentire,
[non si vede bene che col cuore..., dice il Piccolo Principe],
recuperando l'eros nel suo significato originario. L'eros inteso come
amore tra gli esseri umani, ma anche come amore per tutti i doni
meravigliosi della Terra, dalle balene agli oceani, dai fiumi alle
montagne, dagli orsi agli uccelli, dai lupi alle foreste,...,
dall'aria pulita alla salute del nostro corpo,..."(introduz. di
Vito Mancuso nell'op. cit.di Fox), è ciò che occorre per
promuovere una maggiore spiritualità, in comunione tra la natura e
gli esseri umani.
Vorrei concludere con una
preghiera Cherokee che tutti, alle soglie della vecchiaia, dovremmo
recitare: "concedimi la serenità di accettare le cose che non
posso cambiare, il coraggio per cambiare quelle che posso e la
saggezza per riconoscerne la differenza".
Un articolo perfetto. Hai trattato l'argomento della saggezza riferita alla vecchiaia in maniera perfetta. In stato di grazia.
RispondiEliminaCiao Licia, bell'articolo! Leggendolo mi sono venute in mente 2 cose che mi piacerebbe condividere (spero di non scrivere cose deliranti ma soprattutto spero di ricordarmi come si scrive in italiano):
RispondiElimina1) l'associazione saggio-vecchio-lento mi fa sorridere. Se da un punto di vista bio-meccanico è lecito affermare che raggiunta l'età del terzo tagliando (uno ogni 20 anni) la macchina-corpo subisce un calo di performance (dopo 6 mesi che non vedevo mio padre, ho provato molta tenerezza nel constatare ciò), dal punto di vista etimologico, la parola "saggio", non si può collegare allo stesso concetto di "decadenza", staticità o pesantezza. Mi spiego. Chi diversamente da me mastica il latino, saprà che saggio deriva da sapere. Ma il sapere stesso, come ci insegnarono i padri illuministi, è una pianta che cresce e che si arricchisce di nuovi rami con il tempo (lasciamo perdere il paragone con le piante che appassiscono, ma limitiamoci solo alla metafora della conoscenza), quindi, nulla di più vivo e attivo. Ma andando a mettere il naso nei dizionari di altre lingue, scopriamo come per esempio in inglese, olandese e tedesco, la parola saggio, rispettivamente wise, wijs e weise, è riconducibile in tutti e 3 i casi ad una definizione del tipo "visione-indicami la via". Anche qui un concetto molto lontano dall'essere statico, lento, greve, inutile, al capolinea; piuttosto, esprime qualcosa di orientato al futuro, dinamico, con una certa utilità. Curioso no?
2) saggezza è distacco. Distacco emotivo dagli istinti irrefrenabili, tipici come hai sottolineato tu, dell'età attorno al primo tagliando (20). Comunemente nota come i "5 schei de mona in scarsea" la saggezza non appartiene per definizione ai giovani, non tanto perchè sono abilissimi a dilapidare qualsiasi forma di capitale economico inclusi i 5 schei, ma più che altro perchè non conoscono ancora se stessi e i propri limiti, non hanno ancora esperito (qui ritorna l'origine etimologica del termine) dolore, gioia, abbandono, solitudine, fallimenti ecc. Il buon Lao Tzu secoli prima dell'arrivo del VIP made in Nazareth, disse che "Conoscere gli altri è saggezza. Conoscere se stessi è saggezza superiore". Distacco spirituale. Sciamani, oracoli, medium, veggenti ecc, in ogni dove e quando hanno sempre trovato le loro risposte al di fuori della materialità corporea, vuoi con un viaggio psichedelico con il peyote, vuoi attraverso la possessione spiritica da parte dei defunti, vuoi per per il semplice passaparola olimpo-oracolo di delfi..la saggezza qui è vista come qualcosa di superiore, di esterno, di non umano. Distacco sociale. Pensiamo agli eremiti, ai monaci, a tutte quelle figure mitologiche che compiono un viaggio che li separa dalla quotidianità (tu hai citato i riti di passaggio).. ma non solo: in moltissime realtà sociali, in tutte le epoche storiche, la gerontocrazia è sempre stata una prerogativa dell'organizzazione del potere sociale. Ma c'è di più. La saggezza, la conoscenza, in alcune realtà aborigene, come in australia, ha un valore assolutamente determinante non solo per stabilire le gerarchie all'interno del villaggio o della famiglia, ma anche a livello di relazioni tra gruppi diversi e di "proprietà" della terra. Il vecchio Chatwin nel suo leggendario Le vie dei canti (grazie ancora per avermelo regalato) ci racconta proprio questo, come la conoscenza sia una fonte di ricchezza.
Ci sarebbe molto altro da dire ma questo è il tuo blog :) ... spero di non averle sparate grosse. un saluto
Mi è piaciuto molto.Ho 64 anni è per me certe questioni e riflessioni sono attualissime e indispensabili.
RispondiEliminaCOMPLIMENTI!!