lunedì 8 ottobre 2012

Saggezza e vecchiaia sono correlate?

E' opinione comune che saggi non si nasce, saggi si diventa. La saggezza o sapienza, sembra essere un qualcosa che si acquisisce di pari passo con l'età come una sorta di ricompensa del lungo evolversi della mente. Una specie di risarcimento per controbilanciare l'avvizzimento, la presbiopia, la perdita dei denti e della memoria retrograda. E' il paradosso esistenziale dell'invecchiamento: compensa ciò che si perde. Più si invecchia, più si ha la possibilità di sviluppare un investimento oculato delle energie psicofisiche, si controllano meglio gli impulsi e si diviene più capaci di autocritica.
Saggezza è, potremmo dire, il contrario dell'audacia e della sventatezza, è osservare l'11° comandamento, quello che recita "non esagerare!"
Saggezza è sensatezza, è accortezza, è prudenza, è sapersi risparmiare, è saper tesaurizzare, è, se del caso, piegare la gobba oggi per raddrizzarla domani. E' anche non mancare ai riti di passaggio, come direbbe il Malaussène di Pennac, "accettando i mutamenti ma non le mutazioni, ingrossando senza gonfiare, maturando senza avvizzire, evolvendo e valutando, progredendo senza rimbambire, invecchiando senza troppo ringiovanire, accettando di morire senza protestare". Perchè "è nulla il morire, spaventoso è il non vivere" (Gramellini "Fai bei sogni").
Saggezza è la capacità di valutare in modo corretto, ponderato ed equilibrato le varie opportunità scegliendo secondo ragione ed esperienza.
Saggezza è non farsi prendere dall'autocompatimento, ed è anche trovare il proprio modo di opporsi a certe realtà per trasformarle nel sogno che ci abita dentro, scartando le speranze che siano solo futili e illusorie per abbracciare convintamente il motto oraziano del carpe diem al fine di non sprecare nemmeno un giorno.
Mano a mano che decrescono la forza muscolare, la durata del sonno filato e in generale molte altre prerogative di gioventù, cresce invece, come una forma di risparmio, l'attitudine naturale ed istintiva a lasciar perdere dove non valga la pena di accanirsi, utile a concentrarsi solo laddove vi sia una buona probabilità di riuscita, di successo.
La saggezza è una possibilità che ci si offre: sta a noi scegliere se sia un dono o una menomazione che ha il sapore della resa. Forse aumenta la capacità di sopportazione mano a mano che diminuisce l'impazienza. E' come se la mente si abituasse a fare, perennemente e in automatico, un bilancio tra l'essenziale e il superfluo per suggerirci di volta in volta dove valga la pena di investire energie, anche quelle che servono ad arrabbiarsi e indignarsi, o a perdonare senza per questo dimenticare come fa l'ingenuo.

Secondo gli stereotipi più diffusi, la saggezza è impersonificata dal gufo con gli occhiali o dalla tartaruga (vedi "La spada nella roccia" di Walt Disney e "Momo" di Michael Ende).
Entrambi questi animali rappresentano inequivocabilmente la vecchiezza (per il richiamo ad una longevità straordinaria, alla rugosità e alla lentezza dell'incedere nella tartaruga, o per la latenza di risposta nell'apparente tendenza al black-out nella letargia del gufo, oltrechè per l'inesorabile perdita di una precipua caratteristica, l'acutezza della vista (quantunque compensata con la capacità di essere maggiormente pre-videnti) in entrambi.
Protetta dal suo freddo carapace, nel quale è pronta a ritirarsi in piena autonomia autistica, la tartaruga incarna al meglio la rappresentazione del vecchio, non tanto in quanto creatura ctonia e tenebrosa per via di quei suoi occhietti ostili che le conferiscono un'espressione maligna e poco affidabile (il che giustifica certo timore repulsivo che talora certi vecchi incutono segnatamente nei bimbi piccoli), ma in quanto creatura lenta che sembra bastare a se stessa, capace però, all'occorrenza, di improvvise accelerazioni e di scatti imprevedibili ("mettere il turbo" se trova il cancello aperto, addentare svelta con il suo temibile rostro un cibo prelibato) alternati alla prudente placidità del sonno letargico. Questo animale, come il gufo che sembra dormiente ma è capace di un guizzo con un solo colpo d'ala, può avere, talvolta, la miccia corta. Tale e quale al vecchio che, invecchiando, rivela paradossalmente più energia, più carattere e non già più morte, come il vecchio a cui "l'età arrugginisce il giorno a prima sera, ma sveglia l'animo fin dalle prime luci dell'alba" (Erri De Luca, "I pesci non chiudono gli occhi").
E' dunque più d'ogni altra la lentezza, come nei due animali summenzionati, a caratterizzare il vecchio e insieme saggio perchè, forse, proprio nel procedere del pensiero che si fa più lento e pertanto riflessivo, questi trova tutto l'agio di annodare fili perduti e tempi morti in un'unità di senso, come già accade nella scrittura, che di per sé è necessariamente ripensamento. E "la lentezza pensosa corrisponde alla levità, a quella leggerezza pensosa che può far apparire la frivolezza come [invece] pesante e opaca". La speculazione dell'intelletto all'insegna della leggerezza può consentire di innalzarsi alla contemplazione universale; l'agile salto improvviso della mente del sapiente, o del poeta-filosofo, il suo festinare lente, lo solleva dalla pesantezza del mondo e da quelle sue caratteristiche di apparente vitalità dei tempi, "rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante", che invece rimandano il saggio ad immagini pre-videnti dove c'è movimento veloce ma non c'è vita, immagini statiche e mortifere, "come un cimitero d'automobili arrugginite" (per usare le parole di Italo Calvino nel suo "Lezioni americane").

La saggezza dunque corrisponde, come si diceva, ad un'acquisizione di energia e al pieno sviluppo del "carattere" inteso come sommatoria delle qualità distintive di un individuo, come "stile estetico dai tratti durevoli, quale si esprime in gusti e comportamenti individualizzati, [e] forza strumentale capace di influire su ciò che ciascuno apporta al pianeta", corrisponde altresì al coraggio di essere curiosi, di liberarsi dalle convenzioni indagando la verità (la aletheia dei Greci)". (vedi Hillman, "La forza del carattere"). In questa straordinaria, eccitante avventura, il vecchio esplora maggiormente col pensiero, mentre il giovane esplora con il corpo in movimento. Se è saggio, il vecchio sa dedicarsi all'otium come attività necessaria alla ri-flessione su se stessi e sul passato, a quel movimento circolare dell'anima verso se medesima, verso le origini ricche di senso della sophìa, necessarie al negotium, nel rispetto di quel sano amour propre di cui parlava Rousseau, così diverso dall'egoistico amour de soi meme. Se nel corso della vita hai imparato a divertirti con te stessa, dice un personaggio femminile non più giovane di Manuela Serrano nel suo "Dieci donne", continuerai a farlo. E il divertimento del vecchio, inteso come possibilità di provare piacere, consiste anche, e soprattutto, nell'esercizio del pensiero e dell'immaginazione. Nel saggio essa è orientata alla trasformazione sociale, per un superamento di una coscienza egologica a favore di una coscienza ecologica.

Saggezza è quella virtù dell'anima che sa mantenersi il più possibile lieta, relativizzando, pensando positivo, venerando il dio delle piccole cose, giudicando ciò che è bene lasciar perdere da ciò che vale la pena di perseguire. Si può far questo a qualunque età, naturalmente, ma a partitre dai 60 anni, diventa più facile. L'esperienza conta molto perchè acuisce il giudizio.
In gioventù si è disposti a credere, a prestar fede, in maniera affrettata e imprevidente. La curiosità è grande e pressante e, per muoversi agevolmente tantopiù sotto la pressione dell'urgenza, si ha bisogno di un terreno il più possibile spianato e libero da ostacoli. La curiosità giovanile non è ancora una modalità intellettuale del desiderio, è più un prurito. In gioventù ci si infervora ed è più facile avere un atteggiamento fideistico; se si ravvisassero tutte le difficoltà e le insidie (ovvero il concetto di Lupo Alberto che la sfiga è sempre dietro l'angolo) interverrebbe di sicuro la paralisi, che di sicuro non orienta la conoscenza.
Con l'età matura si è più prudenti, in genere si è imparato a ridimensionare le aspirazioni, ad economicizzare le energie e, dunque, gli investimenti. Si è imparato a discernere con più facilità, ed anche ad essere più attenti agli altri e ai loro bisogni, forse perchè questi ultimi potrebbero diventare i nostri e, secondo la strana matematica dell'amore, declinato in tutte le sue forme anche nell'amicizia, chi più spende e si spende, più avrà la possibilità di ottenere la solidarietà e la generosità dell'altro a sua volta.
Se si è imparato ad essere previdenti per amore di sè e dell'altro, ci si esporrà ad un rischio, per quanto possibile, calcolato.
La saggezza implica rinunciare al muro contro muro, nelle relazioni come nelle discussioni che siano improntate all'ignoranza e al fanatismo. Di fronte alla rigidità, anche del pensiero, di certuni, il saggio contrappone la morbidezza e l'accoglienza più che una fiera e accanità ostilità, ben sapendo che in taluni casi è meglio soprassedere. Diviene più esperto nell'arte della diplomazia. Chi era più saggio, Galileo Galilei o Giordano Bruno? Entrambi erano certi, ad onta di quanto dichiarato nella Bibbia, che fosse la Terra a girare intorno al Sole, ma il primo, duro e puro, non potè evitare di farsi bruciare al rogo, il secondo, abiurando, ebbe salva la vita e potè ugualmente affermare e diffondere la sua teoria attraverso i suoi scritti. Saggezza è pertanto anche disincanto.
La saggezza quale "prima condizione della felicità" (vedi "Antigone" di Sofocle), è un fenomeno psicologico e sociale.

Secondo E. Goldberg , neuropsicologo di fama mondiale ne "Il paradosso della saggezza", non è affatto vero che cervello e funzioni mentali abbiano necessariamente a deteriorarsi con l'età, al contrario sviluppano la capacità di riconoscere modelli, capaci di integrare pensiero ed esperienza usando meglio l'emotività, l'empatia e l'intuizione.
La saggezza, che è altro dal talento, dalla genialità, dalla creatività e dal pensiero originale, secondo questo studioso, corrisponde piuttosto a "doti di competenza, expertise e riconoscimento di modelli cognitivi intesi come classi di oggetti o di problemi che catturano l'essenza di una vasta gamma di situazioni specifiche e di azioni le più efficaci associate ad esse", ma non solo. E' conoscenza esperta, che consente di connettere il nuovo con il vecchio applicando l'esperienza precedente alla soluzione di un nuovo problema; essa non trascura mai, insieme agli aspetti intellettuali, gli aspetti morali, spirituali e pratici. E'conoscenza, oltre che dichiarativa (classificativa, descrittiva, che risponde alla domanda "cos'è?"), anche prescrittiva (che risponde alla domanda "cosa dobbiamo fare?"), e ci dice pertanto come agire, orientandoci nella scelta del comportamento più opportuno.
La sola competenza disgiunta dalla conoscenza prescrittiva che ci metta nelle condizioni di decidere come agire rispetto alle cose e non solo di classificarle, può efficacemente combattere i fenomeni neurodegenerativi e la neuroerosione (la neurogenesi, dopo tutto, per quanto in forma sempre più rallentata, sappiamo che continua per tutta la vita), ma non può garantire la saggezza.

Nell'introduzione che Mattew Fox fa del suo volume "In principio era la gioia", la saggezza (o sapienza, wisdom in lingua anglosassone) viene considerata nell'accezione dei nativi americani come ciò che consente alle persone di poter vivere. Vivere, non sopravvivere. E vivere "significa anche bellezza, libertà di scelta, dare alla luce, avere una disciplina, celebrare con gioia" procedendo congiuntamente, al di là dei particolarismi e dell'individualismo con l'aiuto di tutti, nell'interesse di tutti, in una visione ecologica.
Secondo questo autore la saggezza è promuovere un risveglio scientifico che riconosca la Terra come elemento prezioso in cui trovare la presenza immanente di Dio, recuperando così la tradizione spirituale che mette al centro il creato. Saggezza è andare oltre la guerra come strumento di risoluzione delle controversie, è ripensare a cosa significhi il lavoro; è affrontare la crisi con giudizio (dal greco krinein, giudicare dopo aver passato al vaglio) traendone l'opportunità di superarla preservando la dignità individuale anzichè distruggendola e distruggendo con essa i rapporti sociali. Ogni tipo di crisi (energetica, del cibo, del lavoro, ecc.) può essere superata attraverso un ecumenismo globale e il recupero della dimensione universalista delle religioni, ovvero della spiritualità. Si rendono necessari, a suo dire, i movimenti di giustizia e liberazione, ivi compresi i movimenti femministi, perchè la sapienza viene specialmente dagli anawim, coloro che sono dimenticati e oppressi, e dalla prospettiva di ridare dignità alle minoranze che, in quanto tali, hanno perduto il diritto al lavoro, alla gioia, alla dignità, alla spiritualità, alla partecipazione del sacro, ecc.
Affrontare la crisi con giudizio può anche voler dire, con riferimento a quella alimentare, giudicare il vegetarianesimo una fonte di approvvigionamento proteica più economica e sensata e meno inquinante di quella che includa la carne; può voler dire tendere ad un approvvigionamento di energia pulita, ad un non spreco dell'acqua, alla non indiscriminata cementificazione, e così via.
E' necessario, sostiene ancora, recuperare la speranza (perchè, come dice Erik Fromm, quando , questa è debole ci si accontenta delle comodità o della violenza) lottando contro la cupa ideologia del peccato originale e insegnando che al principio era la gioia, e non il peccato delle origini. Il senso di colpa acquisito ab origine, per quanto inconscio e oscuro, non consente alcuna scelta, alcuna saggezza. La vita, dice, deve essere vissuta con passione, gioia e creatività, incoraggiata dalla bene-dizione laddove sia il bene ad essere originario, e non già dalla male-dizione di una colpa a priori e di un peccato, affinchè sia la benedizione che tutto origina e tutto mette in moto.
Per tutto ciò, "occorre pertanto una trasformazione educativa che superi l'identità patriarcale, con i suoi correlati di cinismo e di pessimismo, che superi l'identità dualistica e violenta delle contrapposizioni; occorre affidarsi, oltre che al sapere, al sentire, [non si vede bene che col cuore..., dice il Piccolo Principe], recuperando l'eros nel suo significato originario. L'eros inteso come amore tra gli esseri umani, ma anche come amore per tutti i doni meravigliosi della Terra, dalle balene agli oceani, dai fiumi alle montagne, dagli orsi agli uccelli, dai lupi alle foreste,..., dall'aria pulita alla salute del nostro corpo,..."(introduz. di Vito Mancuso nell'op. cit.di Fox), è ciò che occorre per promuovere una maggiore spiritualità, in comunione tra la natura e gli esseri umani.

Vorrei concludere con una preghiera Cherokee che tutti, alle soglie della vecchiaia, dovremmo recitare: "concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio per cambiare quelle che posso e la saggezza per riconoscerne la differenza".  

3 commenti:

  1. Un articolo perfetto. Hai trattato l'argomento della saggezza riferita alla vecchiaia in maniera perfetta. In stato di grazia.

    RispondiElimina
  2. Ciao Licia, bell'articolo! Leggendolo mi sono venute in mente 2 cose che mi piacerebbe condividere (spero di non scrivere cose deliranti ma soprattutto spero di ricordarmi come si scrive in italiano):
    1) l'associazione saggio-vecchio-lento mi fa sorridere. Se da un punto di vista bio-meccanico è lecito affermare che raggiunta l'età del terzo tagliando (uno ogni 20 anni) la macchina-corpo subisce un calo di performance (dopo 6 mesi che non vedevo mio padre, ho provato molta tenerezza nel constatare ciò), dal punto di vista etimologico, la parola "saggio", non si può collegare allo stesso concetto di "decadenza", staticità o pesantezza. Mi spiego. Chi diversamente da me mastica il latino, saprà che saggio deriva da sapere. Ma il sapere stesso, come ci insegnarono i padri illuministi, è una pianta che cresce e che si arricchisce di nuovi rami con il tempo (lasciamo perdere il paragone con le piante che appassiscono, ma limitiamoci solo alla metafora della conoscenza), quindi, nulla di più vivo e attivo. Ma andando a mettere il naso nei dizionari di altre lingue, scopriamo come per esempio in inglese, olandese e tedesco, la parola saggio, rispettivamente wise, wijs e weise, è riconducibile in tutti e 3 i casi ad una definizione del tipo "visione-indicami la via". Anche qui un concetto molto lontano dall'essere statico, lento, greve, inutile, al capolinea; piuttosto, esprime qualcosa di orientato al futuro, dinamico, con una certa utilità. Curioso no?
    2) saggezza è distacco. Distacco emotivo dagli istinti irrefrenabili, tipici come hai sottolineato tu, dell'età attorno al primo tagliando (20). Comunemente nota come i "5 schei de mona in scarsea" la saggezza non appartiene per definizione ai giovani, non tanto perchè sono abilissimi a dilapidare qualsiasi forma di capitale economico inclusi i 5 schei, ma più che altro perchè non conoscono ancora se stessi e i propri limiti, non hanno ancora esperito (qui ritorna l'origine etimologica del termine) dolore, gioia, abbandono, solitudine, fallimenti ecc. Il buon Lao Tzu secoli prima dell'arrivo del VIP made in Nazareth, disse che "Conoscere gli altri è saggezza. Conoscere se stessi è saggezza superiore". Distacco spirituale. Sciamani, oracoli, medium, veggenti ecc, in ogni dove e quando hanno sempre trovato le loro risposte al di fuori della materialità corporea, vuoi con un viaggio psichedelico con il peyote, vuoi attraverso la possessione spiritica da parte dei defunti, vuoi per per il semplice passaparola olimpo-oracolo di delfi..la saggezza qui è vista come qualcosa di superiore, di esterno, di non umano. Distacco sociale. Pensiamo agli eremiti, ai monaci, a tutte quelle figure mitologiche che compiono un viaggio che li separa dalla quotidianità (tu hai citato i riti di passaggio).. ma non solo: in moltissime realtà sociali, in tutte le epoche storiche, la gerontocrazia è sempre stata una prerogativa dell'organizzazione del potere sociale. Ma c'è di più. La saggezza, la conoscenza, in alcune realtà aborigene, come in australia, ha un valore assolutamente determinante non solo per stabilire le gerarchie all'interno del villaggio o della famiglia, ma anche a livello di relazioni tra gruppi diversi e di "proprietà" della terra. Il vecchio Chatwin nel suo leggendario Le vie dei canti (grazie ancora per avermelo regalato) ci racconta proprio questo, come la conoscenza sia una fonte di ricchezza.
    Ci sarebbe molto altro da dire ma questo è il tuo blog :) ... spero di non averle sparate grosse. un saluto

    RispondiElimina
  3. Mi è piaciuto molto.Ho 64 anni è per me certe questioni e riflessioni sono attualissime e indispensabili.
    COMPLIMENTI!!

    RispondiElimina