giovedì 22 dicembre 2022

ELFI vs BABBO NATALE


L'elfa di mia nipote si chiama Chiara 

Nel giro di pochissimi anni alle vecchie tradizioni natalizie che vedono imperare sopra tutte Babbo Natale, il buon vecchio dalla lunga barba bianca vestito di rosso, in molti posti come qui in Romagna, si va sostituendo o comunque aggiungendo il culto degli Elfi. Questi come è noto sono i suoi piccoli aiutanti, riconoscibili per le caratteristiche orecchie a punta sotto al cappello a cono rosso, lungo e stretto. Sono ammirati ed amati per il particolare carattere bonario e divertente oltre che l'inesausta vivacità nonostante le loro piccole dimensioni. A volte pasticcioni, scherzosi sempre, inclini al buon umore e nel contempo talora dispettosi, un po' come i bambini.

Chiara ama disegnare
Credo sia in atto una sorta di rivoluzione delle tradizioni natalizie che potremmo definire come il riscatto degli Elfi. Questi piccoli vitalissimi personaggi magici fino a ieri sono stati marginali in quanto “sudditi” di Babbo Natale, ma, di recente, sembrano acquisire sempre maggiore autonomia mano a mano che vanno spodestando l'indiscusso primato del Vecchio barbuto. Da personaggi subalterni e infimi, di poco o nessun conto se presi singolarmente in quanto la loro forza sta nel numero, questi simpatici esseri stanno assumendo un rilievo maggiore di là come di qua dall'Oceano, sempre più attenzionati e amati dalla pubblicità ma anche sicuramente dai bambini. Ancora una volta dall'America va prendendo piede anche qui in Europa una nuova usanza, una sorta di culto dell'elfo domestico, questa specie di nume tutelare vive nella cameretta di bambine e bambini. Abita entro questa un suo piccolo spazio, definito da un porticina, che originariamente era una mensola, come racconta il libro Elf on the shelf dal quale ha preso il via la tradizione di cui sto raccontando. Di qui si diparte ogni fine-giornata, col favore del buio, per espletare la sua funzione di controllore del bambino o bambina che affianca. Dovrà infatti verificare che i bimbi siano davvero meritevoli, riferendone in seguito a Babbo Natale. Il piccolo, simpatico, impertinenete soggetto è attivo in Italia durante tutto il periodo natalizio della Vigilia, dal 1 al 24 Dicembre quando finalmente, passata la Festa, risoltosi l'avvento, alla Vigilia della distribuzione di tutti i doni il giorno di Natale, attraversando per l'ultima volta la sua porticina magica (foto) dalla quale ha fatto il suo ingresso, farà ritorno al Polo Nord di dove è venuto. Notte dopo notte, scorrazzando indisturbato per casa mentre tutti dormono, talvolta si abbandona a giochi sfrenati e combina marachelle. Sembra però consapevole della sua natura talora incontenibile e della sua gioiosità e giocosità sfrenata. Per questo risarcisce i suoi involontari dispettucci veniali con piccoli doni a favore del controllato cucciolo umano di casa. E' così che la mattina ogni bambino può trovare traccia del passaggio dell'Elfo nella forma di qualcosa fuori posto, di un messaggio o altro, nonché talvolta in forma di un regalino reperibile vicino al pupazzetto che lo rappresenta e che si fa ritrovare, nel suo spazio, on the shelf o altrove, non sempre nel luogo e nella postura in cui lo si era lasciato la sera precedente. In questa rinnovata tradizione non abbiamo più il celeberrimo Babbo Natale come elemento magico centrale ripetto a tutto e a tutti con gli Elfi suoi aiutanti, per l'appunto quali corollario. Abbiamo invece il piccolo Elfo che diviene protagonista, in scena per il tempo lungo di quasi un mese. Nel suo essere visibile in forma di pupazzetto personale l'Elfo è distinguibile e distinto da ogni altro suo simile ma, nel contempo, pur risultando apparentemente inanimato in quanto di stoffa, viene percepito in qualche modo vivente, almeno una volta al giorno, dopo che al mattino del suo esistere si può meritare la prova. Piccolo com'è, tiene la scena per quasi tutto il mese di dicembre. Può essere caratterizzato nel sesso, femmina o maschio a seconda dei casi, a discrezione di chi lo possiede o di chi lo ha scelto, di come si è fatto trovare ed è apparso in camera, emozionante epifania prenatalizia. Nel piccolo spazio domestico che questi occupa, accanto ad una porticina e a una scaletta, l'Elfo è come una bambola o, se vogliamo, una marionetta. Può essere vestito e acconciato nonché adattato a una piccola abitazione o messo a cavallo di un destriero, al pari di una Barbie. Di giorno quindi è ciò che appare, di notte invece, e in ciò consiste la sua magia, lontano dagli sguardi si anima e prende vita. 

Con la sua amica Anna combina malestri
Disponendo di tutta la necessaria autonomia delle cose animate si muove indisturbato e sovrano, e allaccia giochi con animali domestici e altri pupazzi perchè questo rientra nella sua precipua natura. Potremmo dire che il ruolo dei simpatici Elfa o Elfo ha quasi soppiantato quello del gentile bonario Vecchio vestito di rosso con lunga barba bianca e occhiali, assumendo un simpatico rilievo fino al protagonismo. E' infatti grazie al lungo lavorìo di questi magici piccoletti con le caratteristiche orecchie a punta che Babbo Natale saprà se il bimbo sia meritevole e che di conseguenza deciderà di lasciare o meno i suoi doni. Nello stesso tempo il bambino avrà modo di vivere a lungo la magia di un rapporto privilegiato con “il suo” piccolo personaggio, simile al folletto, che lo conosce bene e che continuamente gli fa pervenire un feedback in forma di segni, di piccolissimi doni quotidiani e talvolta di brevi messaggi. C'è qualche Elfo che addirittura scrive sorprendenti testi in rima baciata! Ciò che incanta e seduce è proprio lo stretto rapporto tra bambino ed elfo, quasi come fosse un avatar, in cui ciascuno può identificarsi. Non dimentichiamo poi che il pupazzino con cui di giorno si può giocare, lo stesso che si può portare in cartella a scuola a guisa di amico/a o di oggetto transizionale, che diversamente si può portare con sé quando si andasse in visita da un coetaneo, ha uno stretto rapporto anche con i genitori. Saranno questi ultimi infatti a muoverne i fili giorno dopo giorno, con fantasiosa e affettuosa disponibilità. L' Elfo dunque è diventato un personaggio dal ruolo tutt'altro che marginale. Piace ai bambini che in esso si identificano e in esso confidano, piace ai genitori in quanto tramite per lo stabilirsi di un tanto segreto quanto stretto legame con il figlio, e consente infine ai genitori di confrontarsi fra di loro e collaborare con altri genitori. Quando si esaurisce la fantasia quotidiana si possono .cambiare idee circa, per es, quali possano essere nuovi minuscoli regalini, quali nuovi dispettucci si possano inscenare, ecc. E' un tempo dell'attesa condiviso fra grandi e piccini e, tutto sommato, volendolo, anche fra genitori, in amicizia e buonumore. Per concludere, direi che questa nuova liturgia natalizia, una nuova tradizione iniziata da un tempo relativamente breve e sviluppatasi in alcuni territori più che in altri che si va imponendo ed estendendo sempre più a macchia di leopardo, può essere accolta favorevolmente. Personalmente spero anzi che prenda piede stabilmente e diffusamente, sembrandomi positiva per le sue caratteristiche di laicità, “democraticità”, partecipazione e collaborazione. Dopotutto è anche un inno alla frugalità, non contando tanto il peso specifico del regalo, del tutto inconsistente, quanto la sorpresa e la corrispondenza al desiderio di riconoscimento o premio, al di là del suo valore commerciale. Il fatto poi che garantisca per la durata di venticinque giorni il rinnovarsi di un piacevole stupore che riempie il tempo dell'attesa premiando il bimbo se il comportamento sia stato adeguato, la fa apprezzare particolarmente anche come mezzo educativo. 

Si diverte con i suoi amici pupazzi
Mi sembra possa essere uno sprone a vivere con gioia e levità, ad agire con meraki, direbbero i greci. Meraki, to meraki, non si può tradurre con un solo vocabolo corrispondente chè in italiano non esiste, per comprenderne il significato bisogna utilizzare più d'una frase. Potremmo dire che meraki è un modo di stare al mondo secondo una filosofia di vita propria, “su misura”, che risulti appagante. E' agire sostenuti dalla passione esercitando la propria creatività provando piacere e, beninteso, ognuno, il meraki, può provarlo anche nel mentre sta stirando con la radio sintonizzata su un canale di musica classica che dia sfondo ai pensieri. E' avere contezza di stare realizzando in qualche modo il proprio dàimon nella consapevolezza di essere vivi, in una vita vissuta “al timone” secondo le proprie inclinazioni, confidando nella riuscita e progredendo senza sforzo con soddisfazione. Essere un meraklìs, uno intriso di meraki, significa procedere con quel sentimento di levità e contentezza che orienta i muscoli facciali al sorriso esprimendo benessere, cercando di fare le cose nel modo migliore, e riuscendo perciò a trarne estro creativo e soddisfazione. Il piccolo Elfo è in qualche misura un magister vitae che insegna senza insegnare, mai supponente o punitivo. L'Elfo piace e si piace. Conosce l'importanza della collaborazione, nel suo cuore non albergano sentimenti di rivalità con “i fratelli” elfi, né di scontento per il proprio ruolo che non sente subalterno, ma piuttosto soltanto “altro” nella rappresentazione del Natale. Non prova sentimenti di rivalsa nei confronti buon vecchio Babbo cui dona infatti il proprio aiuto nella fabbricazione e distribuzione di quei regali richiesti in forma di letterina e che ogni anno infatti anche grazie a lui, verranno evasi puntualmente. Sa di essere necessario alla magia del Natale in quanto aiutante di un vecchio che da solo non riuscirebbe mai a caricare la slitta e tantomeno a recapitare i doni a ciascun bambino meritevole del mondo. Questi magici, simpatici, infaticabili piccoletti che nottetempo adorano giocare, conoscono bene l'indulgenza di chi rimetterà in ordine il risultato del loro divertirsi talvolta goffo e pasticcione, e ne confidano. 

Arriva e riparte da questa porticina magica
 Anzi, consapevoli della loro maldestrezza o imperizia, non dubitano che le loro marachelle verranno accolte dagli altri abitanti della casa con assoluta benevolenza e divertita indulgenza. Peraltro, grazie ai loro regalini, per quanto piccoli e di scarso valore, risarciscono e sanno farsi eventualmente perdonare. Oltre tutto, è notorio che ciò che piace ai bambini non è tanto il regalo in sé, quanto la scoperta di cosa sta dentro. Degli ovetti Kinder si desidera la sorpresa mentre spesso l'involucro di cioccolato che la contiene viene disdegnato.  

venerdì 11 novembre 2016

Convegno Lions Club Forlì 10 Novembre 2016

Pubblico qui di seguito le slides di cui mi sono servita per il Convegno “Gli uomini abusanti, fra verità e bugie” che si è tenuto a Forlì ieri sera, organizzato da Lions Club di Forlì. In particolar modo vorrei ringraziare di cuore il Presidente Avv. Giordano Anconelli per l'opportunità che mi ha dato e per la meravigliosa accoglienza.



Convegno Lions Club

giovedì 2 aprile 2015

INGENUITA', DIFETTO O QUALITA' ?

Guarda!, vedi i delfini?, mi disse mio padre, sono lì, li vedi? Dove?, non li vedo. Lì, insistette puntando il dito nell'immensità del mare. Stanno saltando, increspano le acque... Ma il mare è un po' mosso, non li vedo, non li distinguo, ma dici sul serio? Tu, li vedi veramente? Certo, guarda bene, proprio lì. Beh, sì, forse, mi pare; sì sì, li vedo, gli risposi alla fine. Ah, allora sei proprio ingenua, non c'è nessun delfino, non dovresti lasciarti suggestionare... 
Questo fu un dialogo che ricordo bene anche se ero piccola, all'inizio della scolarizzazione. Mi segnò. Provai una grande umiliazione e mi sentii tradita. Non riuscii a spiegargli di averlo assecondato pur consapevole di non aver visto quello che a lui sembrava certo e ben visibile. Non riuscii a spiegargli che era tanta la mia fiducia in lui che non me la sentivo di smentirlo e di non condividere la sua intensa gioia di quell'avvistamento tanto inusitato. Quando mai si era visto un gruppo di delfini dalla riva del mare a Jesolo? Se li stava vedendo, e insisteva così tanto, avrà voluto dire che c'erano davvero, pensai. Che motivo avrebbe avuto di mentirmi, lui che voleva bene a me che di bene gliene volevo tanto? Poteva darsi, ricordo che ragionai, che mio padre, fortemente miope, con l'ausilio dei suoi occhiali senza montatura da intellettuale romantico, risultasse  avvantaggiato rispetto a me che, allora, ne ero senza. 
Il ricordo di questo dialogo mi stimola a riflettere, a distanza di tanto tempo, su cosa sia l'ingenuità, questo tratto caratteriale che peraltro ancora non mi ha abbandonata e che ancora caparbiamente difendo. 
Non si tratta di stilarne un elogio, una eccessiva ingenuità condanna ad essere vittima designata del furbo, piuttosto si tratta di vedere se al mantenimento in qualche misura di tale caratteristica, possa corrispondere, tutto sommato, più una qualità che un difetto. 

Non si tratta di elogiare l'ingenuità idiota del principe di Dostoevskij o degli adepti di Scientology o di altre più pericolose sette dove un guru demoniaco miete le sue vittime; non è mio intento parlarne come di un pregio dunque, ma mi preme trattarne come di una qualità. 
Vorrei riferirmi al tipo di ingenuità che è richiesta nell'amore il quale, per definizione, non può mai prescindere dalla fiducia. 
La fiducia, infatti, implica sempre degli sforzi di conoscenza, di comprensione, di adattamento e non è mai del tutto acritica, idiota o passiva. Nemmeno quando scaturisce da un ipodotato come Forrest Gump, il cui quoziente intellettivo di 74 è limitato. Lontano mille miglia dalla massima di Hobbes, “homo homini lupus”, per il quale la diffidenza sarebbe all'origine della società, lontano dal pensiero di La Fontaine che considera la diffidenza “madre della sicurezza”, Forrest vanta una fiducia incrollabile e sa cavalcare egregiamente la propria ingenuità. Grazie a questa, stringe legami solidi, come quello che la sua mamma aveva stretto con lui, fondati sulla stima, sulla positività, la bontà e la leggerezza del vivere intesa come la intende Italo Calvino nel suo mirabile “Lezioni Americane”. La forza di Forrest Gump sta proprio nella sua ingenuità disarmante, tale e quale a quella di un bambino, forza che ha un potere attrattivo sul bene e che gli regalerà alla fine fortuna e ricchezza negli affetti. Ci guadagnerà l'affetto riconoscente di Bubba, l'amico salvato assieme alla  famiglia dalla povertà in quanto compagno nell'avventurosa impresa della pesca ai gamberetti; l'affetto del Tenente da lui salvato una prima volta eroicamente in Vietnam e una seconda volta dalla sua drammatica condizione di reduce mutilato e traumatizzato dalla guerra; l'affetto profondo di Jenny, amica d'infanzia prima e sua moglie poi, ed infine quello del suo adorabile figlioletto.  Pur nella limitatezza delle sue capacità cognitive, Forrest Gump non smette mai di utilizzare gli strumenti dell'analisi, della conoscenza e dell'esercizio di un' ingenua quanto efficace difesa dalle avversità e dai nemici. Fin da piccolo, per sottrarsi alle angherie degli altri bambini, sceglie di scappare affinando, non senza una ferrea determinazione e un costante sforzo, la sua unica difesa: correre. Più tardi la sua mirabile autodisciplina ne farà uno sportivo degno di ammirazione come impareggiabile giocatore di ping-pong. La sua già affinata abilità nel correre lo sosterrà nella sua eroica azione di guerra e in seguito lo renderà famoso quando nelle vesti di solitario maratoneta, sarà osannato da moltitudini di seguaci e dai media, ecc. Il suo motto esprime il suo pensare positivo: “la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”. 
Analogamente, se analizziamo il personaggio disneyano di Paperino, dobbiamo ammettere che la nostra simpatia va a lui piuttosto che al borioso, seppur fortunatissimo, Gastone Paperone, per la stessa ragione. A causa della sua ingenuità, Paperino è sempre ad affannarsi contro le avversità e le varie trappole che la vita gli tende, ma ha dalla sua gli affetti incrollabili dei nipotini e della fidanzata Paperina che il cugino fortunato non riuscirà mai a sottrargli e la sua risata giuliva, nelle sue disavventure-avventure, nonostante tutto, risuona sempre. 

A questo punto urge definire la parola ingenuità. Essa corrisponde a: schiettezza, semplicità, inesperienza, spontaneità, innocenza, purezza, candore, senza dimenticare che corrisponde anche a  puerilità, credulità, dabbenaggine. Forse la differenza sta “nelle dosi”. 
Leggo, in un vecchio dizionario dei sinonimi e dei contrari, che il suo contrario corrisponde invece ad accorgimento e avvedutezza, ma anche ad astuzia, furberia, scaltrezza.   
Sinceramente perciò, mi indigna che nell'accezione corrente ingenuo sia  perlopiù solo sinonimo di "minchione", ed è per questo che ho cercato di dimostrare la possibilità e l'opportunità di riabilitare questa parola. 

Uno sguardo alla sua etimologia non guasta. Deriva dal latingenuus, nato dentro una stirpe, nato libero da genitori liberi; pertanto, seppure inaspettatamente, si riferisce a ciò che è degno di un uomo libero, onesto, schietto, “liberale”, capace di dire ciò che pensa in quanto capace di conservare un tratto della  propria umanità originaria, capace di conservare un legame col mondo immediato, di tipo primitivo. 
Il mantenimento delle caratteristiche etimologiche della ingenuità sembra dunque conferire alla persona uno sguardo puro, innocente, che non guarda alle sovrastrutture, ma che sa meravigliarsi e che può entusiasmarsi (en-theòs, "il dio dentro").  E' lo sguardo sul mondo caratteristico del bambino, piacevolmente stupefatto, stranito, talvolta spaesato; tutt'altra cosa dallo sguardo allocco e tonto del credulone. 
Il filosofo  Kierkegaard considerava segnale di imbarbarimento della società moderna proprio la perdita allarmante di questo tipo di sguardo. L'età moderna, scriveva, manca di ingenuità, il che non è segno di maturità. 
Forse, mantenere il fanciullino che c'è in noi, e qui il mio rimando è ovviamente al Pascoli, quel fanciullino capace di questo sguardo ingenuo che non ha bisogno di infingimenti o maschere e che quello sguardo traduce in parole scevre da aggettivi intermedi, ci salverà dall'ipocrisia. Ci salverà dal diventare individualisti e mascalzoni, perché l'ingenuità propria dei bambini, disarmante e meravigliosa, corrisponde all'onestà interiore, ci predisporrà all'etica. 
La persona ingenua in cui è assente l'ambiguità, vuole essere se stessa e basta; è legata  alla verità di cui si fa e si sa portatrice senza fatica, ama con semplicità e spontaneità perché tende ad avere fiducia e si aspetta fiducia; non desiderando piacere a tutti i costi, non  avendo bisogno di compiacersi dei dispendiosi  inganni atti ad enfatizzare l'apparire o l'avere, bada piuttosto all'essere , con naturalezza. 
Certo, l'ingenuo, per definizione, non è furbo, non è scaltro, non è malizioso, non fa finta di capire o non capire per agire secondo il proprio tornaconto, non assume atteggiamenti opportunisticamente falsificati, e per questo così come si espone alla meraviglia, si espone altresì all'inganno che fa inciampare. La sua tendenziale schiettezza, inoltre, non sarà apprezzata da tutti, ed è certo che più d'ogni altro dovrà guardarsi dai manipolatori e dalle seduzioni di persone senza scrupoli. 
Approfittarsi di un ingenuo è cosa facile per via della sua credulità, ma, sempre che  questi non sia un ingenuo assoluto, intendo del tutto ingenuo, è cosa difficile che si lasci raggirare, perché l'ingenuo adulto, quello che mantiene una propensione all'ingenuità senza esserne soverchiato, sa sviluppare anche saggezza. E, modificando di poco un noto aforisma, se è vero che lo stupido non perdona e non dimentica e che l'ingenuo tende a perdonare e dimenticare, l'ingenuo non troppo ingenuo, l'ingenuo-saggio, per dir così, non dimentica, ma sa perdonare. Ed è per questo che alla lunga non si farà più fregare e continuerà a vivere... con l'animo più leggero, dai suoi inciampi uscirà poi fortificato grazie alla resilienza. Quando sai che ce l'hai messa tutta, e capisci il valore della fiducia, potrai cantare come la poetessa Blaga Dimitrova: nessuna paura che mi calpestino. (dalla poesia “Erba”: Nessuna paura/ che mi calpestino./ Calpestata, l'erba/ diviene un sentiero.) 
  
Certo, il non-ingenuo, il furbo che sa muoversi con l'arte del camouflage, da essere camaleontico qual è, diffidente con tutto e tutti, con la sua  prudenza maniacale che gli fa soppesare le emozioni prima di esprimersi avendo egli perennemente paura di sbilanciarsi, con la sua attitudine a  tenere il piede a portata di freno per evitare di cadere nel ridicolo o di finir preda di chi sappia recitare magistralmente il ruolo di pifferaio magico, il furbo, dicevo, che a differenza dell'ingenuo è pronto ad aspettarsi in primis l'inganno, è apparentemente più adattabile in una società come l'attuale che sembra poggiarsi sempre più sull'ipocrisia e che, a detta dei sociologi, è sempre più individualista, cinica e narcisista. Il non-ingenuo sembra e forse sa acclimatarsi meglio, istante dopo istante, nelle più svariate situazioni, attento com'è più a scrutare che non a guardare il suo prossimo. Dove vige la legge del più forte, dove serve saper sgomitare con più energia, se la caverà più facilmente e, con ogni probabilità, spesso ne trarrà vantaggio immediato, nell'intento di diventare egli stesso pifferaio magico a detrimento dei poveracci che lo seguiranno. Però, mi chiedo, e la mia è domanda retorica, alla lunga, potrà mai essere sereno, potrà non patire la sofferenza nevrotica chi deve stare sempre in guardia, riuscirà a voler bene e a sentirsi amato? Potrà mai affidarsi al bene di qualcuno se egli stesso, per costituzione, non si fida di nessuno? Il management ci insegna ad ostentare sicurezza e a non mostrare debolezze o difetti per non dare agli altri la possibilità di ferirci. Eppure l'etologia dimostra che è proprio il mostrare fino ad offrire le proprie parti vulnerabili che può preservarci dall'aggressione. Se il cerbiatto, mentre il lupo lo sovrasta, sentendosi vinto gli offre il collo, scamperà probabilmente al morso mortale e avrà salva la vita. 

Ecco allora, per concludere, che se al mondo vi fossero più persone dotate di un po' più di quella stessa ingenuità dei bambini che serve per avere fiducia nella veridicità dell'evento entusiasmante come un avvistamento di delfini, si potrebbe più serenamente confidare nell'Altro che dice di averli avvistati. Se vi fossero più “fanciullini pascoliani” che marpioni, più pueri fictiinclini a guardare il mondo con l'animo poetico, tra l'ingenuo e il sentimentale, se vi fossero più persone disposte ad assegnare fiducia, come fa il bambino che porge la propria ingenuità come simbolo dell'autenticità al di là di ogni inganno e contraffazione, vi sarebbero più persone in grado di intendersi facilmente. La diffidenza, che è un circolo vizioso e che finisce per indebolire il mondo sociale, è infatti contagiosa tanto quanto il suo contrario.  E se crescesse il numero uomini disposti a porsi agli altri con maggiore ingenuità, vi sarebbero più persone in grado di intendersi, che vivrebbero con  più facilità, lontane dai timori e dalla fatica di essere troppo paranoicamente guardinghe e di conseguenza sulla difensiva come chi teme di agire col cuore più che con il cervello. 
La penso come Hanna Arendt la quale credeva fermamente nel potere “sovversivo” della fiducia, in quanto la fiducia degli uni avrebbe il potere di generare la fedeltà e la lealtà degli altri. A partire dal momento in cui ci si fida di qualcuno e si scommette su di lui, la persona che riceve questo gesto oblativo verrà spinta a mostrarsi degna del dono ricevuto, restituendolo ed innescando un circolo virtuoso della fiducia. 
Bisognerebbe tenere presente che l'avere fiducia è diverso dall'avere fede; mentre la fede è cieca, la fiducia può anche avere un qualche difetto visivo, e di solito essere più ipermetrope che miope, ma.. può sempre calzare gli occhiali. 

Fuor di metafora, un opportuno correttivo ad una eccessiva ingenuità può essere costituito dalla psicoterapia.  Grazie a questa, potrà essere utile capirne la genesi, le radici e le ragioni, inscritte nel tipo di allevamento (poco propenso a promuovere l'autonomia?), nell'educazione (iperprotettiva?) o nella storia personale (che abbia favorito un'inclinazione al favoleggiare, al mantenimento dell' illusione e del pensiero magico infantile?). Grazie ad un percorso psicoterapeutico potrebbe risultare più facile affrontare la vita in modo maggiormente critico. Aspettarsi che gli altri rispettino sempre la fiducia data ci pone in una condizione di cieco abbandono alla volontà e alla benevolenza altrui, col grave rischio che si crei una pericolosa sudditanza psicologica.  La psicoterapia può aiutare a sviluppare meglio il proprio giudizio e ad acquisire capacità e risorse atte ad aumentare una lucidità non disgiunta da una migliore stima e fiducia di sé.  E' importante accettare la propria vulnerabilità derivante dal fatto stesso di avere fiducia in qualcuno, ben sapendo che questo qualcuno può non rispondere alle nostre aspettative e talvolta può dunque tradire la nostra fiducia.  Un percorso psicoterapeutico può aiutare a differenziare quella che è la fede, fiducia assoluta di un credente in un essere completamente affidabile come Dio, a quella che è la fiducia nell'uomo che, in conseguenza ai suoi imprescindibili difetti e ai suoi limiti, può sempre  approfittarsi  e rivelarsi fonte di delusione e tradimento. Tutto ciò, pur non andando a snaturare una personalità caratterizzata dalla disponibilità a vedere e cantare la vita con l'animo poetico e l'ingenuo entusiasmo del bambino.