sabato 19 gennaio 2013

Siamo tutti Robinson Crusoe

Siamo tutti attratti dal viaggio, alla ricerca di un'isola, in qualche punto negli sconfinati Oceani. I meno intraprendenti tra noi hanno bisogno di un fattore accidentale, propulsivo per intraprendere il proprio viaggio esplorativo. Talvolta hanno bisogno di situazioni estremamente destabilizzanti come un naufragio, un qualunque naufragio anche metaforico che li catapulti in un altrove circoscritto dove mettersi alla prova: è una nuova nascita.
Per Robinson Crusoe, il personaggio emblematico del romanzo di Daniel Defoe, pubblicato per la prima volta nel 1719 e letto da un vasto pubblico fino ad oggi, fu proprio così.
Sbarcato fortunosamente su di un'isola che sembrava deserta, si industrierà a sopravvivere contando sulle sue proprie forze e sul proprio ingegno, ripercorrendo tutte le fasi dell'adattamento umano, dalla fabbricazione degli utensili, all'addomesticamento degli animali, alla coltivazione della terra, alla ricerca della spiritualità, per 28 lunghi anni.
La diffusione e l'apprezzamento di quest'opera non sono mai venuti meno perchè, con tutta evidenza, un po' come accade nella mitologia cosmogonica, nelle pagine di questo romanzo anche il lettore moderno può ritrovarvi tutti gli elementi che simboleggiano la nascita ed il percorso di crescita fino al raggiungimento di un'armoniosa adultità. Il protagonista del romanzo, passando attraverso le difficoltà del travaglio e dell'abbandono dell'acqua intesa come Grande Madre, come elemento amniotico agli albori della genesi umana, come fonte battesimale in cui immergersi anima e corpo, come inconscio e caotico magma, ci accompagnerà attraverso un lungo e non sempre facile percorso di crescita, fino alla sua ri-nascita. Nella sua esperienza sull'isola, attraverso il superamento di ogni tipo di difficoltà in perfetta autonomia e solitudine esistenziale, ci illustra la tribolata ricerca per una precisa definizione della mappatura dell' Io, fino all'individuazione del proprio profilo e del senso della propria identità.
L'avventura di Crusoe prende inizio con la sua separazione dal padre, del quale ha ignorato il consiglio a non abbandonare un'agiata e più prudente vita borghese. Salperà in nave, avventurandosi nel mare, in quel possente organismo, immenso, pressocchè infinito che, nel suo essere impetuoso, ambiguo, enigmatico, cangiante, suadente, riposante, ma anche potenzialmente distruttivo, è metafora della nostra matrice nonchè della nostra vita interiore ricca di ogni potenzialità ancorchè sconosciuta, nell'intento di sfuggire all'inspiegabilità del mondo, alla sua fossile geologia, alla sua razionalità.
In mare dunque inizia il suo viaggio che diviene sfida, bisogno d'avventura, desiderio di libertà, prova di conoscenza, ricerca del nuovo, superamento degli ostacoli, evasione, ma anche adattamento, prova e verifica delle proprie esperienze, misura delle proprie capacità di sopportare fatica e sforzo necessari per conquistare e farsi conquistare, alla ricerca dell'entusiasmo (en-theòs, dio dentro), di quella matrice spirituale che, a saperla invocare, talvolta percepiamo in noi come anelito cui tendere fatto della stessa sostanza immateriale dei sogni. Il viaggiatore muove verso un territorio del desiderio (de-sidera, (essere lontani) dalle stelle) dove lo aspettano nuovi orizzonti, verso un luogo-altro, incoraggiato da curiosità e speranze, alla ricerca del proprio spazio interiore, della propria anima, spinto da un'autentica vocazione a conoscere se stesso. In speranzosa attesa confida, come i desiderantes nel De Bello Gallico, che i compagni soldati, reduci dalla battaglia, possano fare ritorno.
Il viaggiatore, sballottato dal caos della tempesta nei momenti drammatici del suo naufragio, farà dunque approdo in un' isola sconosciuta e remota cui lui stesso darà il nome di Isola della Disperazione. Eppure, qui giunto, non sarà mai preda del sentimento che ne caratterizza il nome, e potrà anzi iniziarvi il suo cammino verso una personale redenzione. Si dispiace, questo è vero, della mancanza di una pipa, con cui poter fumare il tabacco di cui l'isola è ricca, come pure si dispiace della mancanza di compagnia, almeno fintantochè non vi troverà Venerdì, cannibale redento salvato alla furia giustizialista dei suoi stessi simili, sorta di presenza umbratile e servizievole alter-ego. Ammette sovente la propria stanchezza e lamenta la monotonia delle prime fatiche quotidianamente sempre uguali. Anche dopo che diverrà consapevole della presenza di tribù ostili e potenzialmente pericolose in quanto antropofaghe (si allude forse alla minaccia cannibalica del simile che ingloba il simile, alle tentazioni come parti cattive di sè che non si vogliono introiettare?), reagisce senza mai abbandonarsi all'inerzia. Si proteggerà con un fortino, fino a sconfiggerli, senza mai giungere alla disperazione. In generale misconosce la noia e ripudia gli eccessi, come quando gli càpita di trovare tre grossi barili di rhum e dimostra di saperli amministrare centellinandoli e facendoseli bastare fino alla fine. Non si abbandona mai ad idee suicide o di massimo scoramento che pure avrebbero potuto maturare in lui se non fosse che sempre sa reagire alla paura, al dolore, alla noia e alla dipendenza da certe comode abitudini, con coraggio e determinazione. Anche se non smette mai di sognare la fuga, ben presto arriva a godere nel sentirsi, dopotutto, padrone dell'isola. Il resto del mondo diviene progressivamente cosa sempre più lontana, da cui nulla deve attendersi, e con cui, nulla avendo a che fare, verosimilmente nulla più avrà a che fare, giudicando perciò inutile struggersi nella nostalgia. Sembra conoscere il cammino verso la saggezza, la soterìa, la salvezza del viaggio di Amore, a partire da sè, ma non per sè.
Accettare la finitezza dell'isola, i suoi confini e le sue risorse, è il segreto del suo relativo benessere anche nella condizione di naufrago privato di ogni passata comodità. Il segreto della sua sopravvivenza nella solitudine consiste nel suo saper accettare il limite. Il soggiorno nel selvaggio approdo viene da lui considerato come conseguenza della propria imprudenza e non già della propria impudenza. Riconosce il proprio spirito d'avventura come anelito di libertà e autonomia e come causa del cambiamento; non ravvisa in sè nessuna hybris sentendo quindi, in certo qual modo, di stare pagando un giusto prezzo che nulla toglie alla sua attuale possibilità di adattamento e godimento futuro. Invoca il sostegno della Provvidenza, ma non tiene mai le mani in grembo nell'attesa d'una catarsi o di un prodigio. Si dà da fare con le sue proprie mani adoperandosi con tutto l' ingegno di cui dispone e, nella piacevolezza dell'operosità quotidiana, si riconosce artefice della sua propria sorte. Motore egli stesso del suo viaggio, spinto dal desiderio di conoscere e di conoscersi, si è reso libero di approdare verso nuovi orizzonti. Nel quarto di secolo della sua permanenza, Robinson prepara in verità anche il proprio ritorno a casa e, con esso, il futuro matrimonio, la soddisfazione della prole che non gli mancherà, fino alla ripartenza dopo la morte della moglie, ancora una volta verso l'isola.

In questo senso, ciascuno di noi è Robinson, chiamato a misurarsi nel mare sconfinato delle conoscenze e delle opportunità fino a trovare se stesso nell'isola del proprio io. E' è solo così, attraverso il viaggio di esplorazione nella propria isola esistenziale, svezzandosi dalle eccessive comodità e dalle sovrastrutture dalla separazione all' individuazione, che ciascuno sarà poi pronto a confrontarsi con l'Altro attraverso Eros, un amore maturo che sappia cosa offrire di sè, e cosa chiedere all'Altro-da-sè, che abbia cognizione di chi si è nella propria individualità e di chi è l'Altro.
Il soggiorno presso l'isola si rivela pertanto un'esplorazione in un luogo metastorico in cui l'assenza dei conflitti umani e della complessità di un mondo da cui si sono prese le distanze, accoglie l'utopia di un esilio paradisiaco di autoesclusione, finalizzata a sottrarsi all'invadenza di una vita concreta e alle sue sempre urgenti e rissose impellenze storiche: uno spazio nuovo, di abitudini sobrie, essenziali, e per questo di più libero movimento, senza lacci e lacciuoli, senza altri padroni che se stessi. Ma è un soggiorno che, in totale assenza dell'incontro con l'altro, con il diverso, tornerebbe ad essere deludente e insostenibile. Rischierebbe di rivelarsi un' esperienza narcisistica negativa, destinata soltanto a farlo ritornare alla Madre anzichè in Patria, come quella di Narciso che, dando amore solo a se stesso, non avendo portato a compimento il suo ciclo vitale, è destinato ad un viaggio senza ritorno, dall'acqua all'acqua, per annegamento, in un fatale ricongiungimento mortifero. Un' esperienza narcisistica positiva invece, ove l'acqua abbia funzione di specchio capace di far riconoscere oltre alla bellezza e consapevolezza di sè, anche la bellezza dell'esistente ivi compreso l'Altro, consente e il viaggio, e il ritorno, e altre successive ripartenze.

Il tema metaforico è quello stesso che nei secoli riappare di frequente. Penso all'epica di Omero che ci narra delle vicende di Ulisse (Odisseo) con tutte le sue distrazioni adolescenziali (le prove di autonomia, le infatuazioni) ed i momenti regressivi talassali (i reiterati viaggi per mare con i relativi inciampi). Penso cioè, per esempio, alla consapevole paura che l'Eroe prova in mezzo all'immensa distesa d'acqua nei confronti del canto delle sirene come metafora della seduzione, del potere ipnotico e paralizzante della voce materna, amata prosodia udibile fin dal principio nell'ambiente uterino liquido, amniotico paradiso perduto, beatitudine oceanica, regno dell'indifferenziazione da cui tutto trae origine. E' noto a tutti che il signor Nessuno (Odisseo), solo dopo un lungo e tribolato viaggio durato 20 anni può far ritorno a casa, riconciliandosi finalmente con i suoi affetti adulti e, sbaragliati i contendenti (i Proci), ricominciare a sentirsi Qualcuno. Il suo cambiamento è un cambiamento interiore. Quantunque sia invecchiato entrando nella piena maturità, viene infatti riconosciuto, con stupore forse, ma senza alcuna esitazione, dalla nutrice che lo vide piccolo e dal suo fedele cane Argo.

Penso inoltre a due esempi di narrazione nella più recente produzione cinematografica. Mi riferisco, per quanto concerne quest'ultima, a pellicole quali: "Travolti da un'insolito destino nell'azzurro mare d'agosto" della regista Lina Werthmuller, e "Cast away" nell'interpretazione magistrale di Tom Hanks. In entrambi i film troviamo elementi comuni, il naufragio e l'isola con la sua natura aspra e incontaminata: paradigmi analoghi, ma con epiloghi diversi.
Nella narrazione della vicenda citata per prima, vediamo la compianta Mariangela Melato nei panni di Raffaella, una sofisticata, riottosa milanese, agiatissima donna di mondo, poco simpatica fin dall'inizio anche a causa della sua erre blesa, assieme ad un giovane Giancarlo Giannini nei panni del giovane mozzo di origini siciliane al suo servizio nello yacht da nababbi di lei. I due finiscono naufraghi tra le sabbie dorate del loro approdo di fortuna circondato dal mare e, qui, Cupido scocca le sue frecce facendo ribaltare la situazione. Una volta dismessi gli scomodi panni di umile e rozzo sottoposto schernito e dileggiato fintantochè era a bordo, lui diviene finalmente il suo ardente amante di lei appassionata succube proprio a causa d'un insolito destino che, sull'isola, ne ribalterà i ruoli. Anche lei dunque sembra corrisponderlo con passione subendo con piacere il trattamento, esilarante in verità perchè vendicativo e machista, corrispondente all'immagine pregiudizievole del maschio siciliano. Tutto ciò in un crescendo di passione e di intesa finchè lui la convince a ritornare alla civiltà e alla vecchia routine, per metterla alla prova, verificando se davvero lei voglia ripartire convintamente, per scelta questa volta, insieme a lui sull'isola.
Ma ecco che Raffaella, alla prova dei fatti, diserta l'appuntamento per la ripartenza e lo lascia sul molo solo e disperato, sotto un'implacabile canicola. In concreto, il sogno di fare ritorno nel paradiso perduto, non è un sogno, semmai lo è stato, condiviso e condivisibile.
La scena finale è una zoomata di allontanamento che vede il semplice marinaio Gennarino, inutilmente vestito a festa, rimanere ad imprecare nel suo coloritissimo idioma nel mentre lei si alza in volo comodamente seduta in elicottero a fianco del marito.
Nel secondo film che ho citato, il protagonista Chuck Noland, in un'isoletta spersa nel Pacifico, sopravvive servendosi all'inizio dei relitti che il mare gli restituisce: i pacchi della Fedex, compagnia di spedizione per cui lavorava. Un pallone da calcio dipinto col proprio sangue in maniera che sembri un volto umano ed un piccolo ciondolo con la foto della fidanzata deposto su una sorta di altarino nel fondo della grotta in cui ripara sono i suoi unici interlocutori muti, e gli alleviano la solitudine come oggetti transizionali dal potere soterico. Dopo anni e anni di permanenza, viene raccolto finalmente da una nave di passaggio e può fare ritorno al luogo da cui era partito. Niente qui è rimasto come l'aveva lasciato. Anche lui non è più lo stesso. Quella che gli era fidanzata gli manifesta ancora amore, ma ora è sposata e ha una figlia. Gli assalti dei media e dei curiosi ben presto lo rendono frastornato. Così lo vediamo prendere le distanze da quel mondo caotico e ciarliero. Si rimette in viaggio, questa volta in automobile. Porta con sè un pacco, il trait-d'union con la sua vita solitaria, che negli anni ha voluto preservare unico tra tutti ancora imballato, per la consegna seppure tardiva alla legittima destinataria. Lei è assente, quindi, arrivato a destinazione, deposita l'involto sull'uscio della casa di lei congiuntamente ad una nota di ringraziamento (!). Quindi procede finchè non si trova ad un crocevia, sperduto nella vastità della campagna texana. Fatalità, qui incontra proprio la destinataria che cercava e approfitta, in mezzo a tanta desolazione, per chiederle delucidazioni circa il dove ciascuna delle tre diverse strade conduca. Una, gli viene detto, congiunge con la statale, un'altra è una strada che "porta al niente fino al Canada", la terza è quella da cui è venuto e che conduce alla casa di lei. Si congeda sorridendo enigmatico nel mentre sembra tentennare, indeciso sulla direzione da prendere. Intanto fissa, rapito e sorridente, il retro del furgone di lei che si allontana su cui campeggia, quasi ammiccante, il logo della ben nota ditta di spedizioni Fedex con lo stesso paio di ali stampigliate sull'involto sdrucito del pacco.
Da questo momento in avanti possiamo immaginare che possa solo andare avanti e procedere verso una vita che non sarà più come era.





5 commenti:

  1. Ubiquità. La capacità di trovarsi in luoghi diversi contemporaneamente. Prerogativa divina dai tempi dell’antico testamento (se escludiamo il “prezzemolismo catodico” pre-elettorale dei politici, in particolare uno, o mezzo a seconda dei punti di vista). Tecnicamente impossibile (almeno per le conoscenze scientifiche attuali) se consideriamo lo spazio fisico come unica dimensione possibile della realtà, il concetto diventa molto più attraente e sensato se consideriamo l’uomo come essere vivente multidimensionale, dove alla già citata dimensione fisica terrena, aggiungiamo la dimensione psichica individuale (io la chiamo così, lascio i tecnicismi ai tecnici): volendo ridurre in termini minimi potremmo banalmente definirle il “fuori” e il “dentro” di ogni persona, la sfera sociale e quella personale. Tempo addietro, in un commento ad un altro articolo di questo blog, ammisi i ripetuti flirt nel corso della storia, tra antropologia e psicologia, e oggi non farò altro che aggiungere carne al fuoco (o seitan, per gli eventuali lettori vegetariani/vegani). Il flirt, o meglio l’analogia, che mi è venuta in mente leggendo questo articolo, ha a che fare con l’identità, o per dirla tutta, con il “ri-plasmare” l’identità a seguito di un evento di rottura con la quotidianità, rappresentato dal naufragio reale o metaforico, in un “altrove circoscritto” che può essere letto antropologicamente utilizzando il concetto di zona liminale nei riti di passaggio. Per chi non fosse pratico di antropologia, con il termine “rito di passaggio” si intende una serie di rituali in cui il soggetto passa da uno status sociale all’altro, e per fare ciò passa attraverso una soglia, una frontiera, una fase detta appunto liminale, in cui abbandona la precedente identità (per esempio quella di bambino) e la relativa vita sociale, per acquisirne una nuova (uomo adulto), venendo successivamente reintegrato nella società come una persona nuova (con annesse nuove responsabilità sociali). Senza addentrarci troppo nello specifico e nella variopinta e affascinante casistica dei riti di iniziazione, dalle isole del Pacifico alle confraternite delle università americane, è sufficiente sapere che questi rituali hanno un importante valore sociale, e che, allo stesso tempo, sconfinano nell’altra dimensione, quella più intima, quella individuale. La zona liminale, nonostante sia per definizione una zona in cui si perdono temporaneamente le coordinate che delimitano la propria identità, può essere definita come un “altrove circoscritto”, in quanto è incastonata al centro del rituale di passaggio, tra un inizio e una fine, un po‘ come un buco nero o il triangolo delle bermuda. L’isola in cui naufraga il naufrago (magari proprio nel suddetto triangolo) assomiglia al luogo segreto della cerimonia, perché inaccessibile ai più e concettualmente “fuori dal mondo di provenienza” del soggetto. 


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    1. I naufragi sono esperienze controverse, a volte impreviste a volte attese, ineluttabili o aggirabili con il buon senso, indesiderate ma spesso indispensabili. Assumono svariate forme, spesso riconducibili al fallimento. Il fallimento di una relazione amorosa “semplice” (non ti amo più - c’è un altro/a → buona fortuna e arrivederci) o “complessa” come il matrimonio (non ti amo più - c’è un altro/a → affidamento dei figli, separazione dei beni, alimenti, parcelle degli avvocati, notai, psicoterapeuti e quant’altro..), di un rapporto di lavoro, di una bocciatura e così via. Sorvoliamo sulle molteplici cause e conseguenze e concentriamoci solamente sull’effetto “naufragio” come “nuova rinascita”. Come gli iniziati di alcune tribù africane o australiane, il naufrago dovrà cimentarsi con un cambiamento, una rottura con la quotidianità, la separazione e la “solitudine esistenziale” o, nei casi più spinti, con il crollo della struttura portante della propria esistenza, dei propri valori, delle proprie certezze: pensiamo a una casalinga di mezza età lasciata dal marito, o per par condicio, al marito che becca la moglie a letto con il suo migliore amico. Si crea un precedente, un fatto storico, un tag (volendo sconfinare nei neologismi tecnologici) che non si può staggare.Una volta rinsaviti dallo shock (tralasciamo il discorso sulle reazioni immediate), quello che i naufraghi si troveranno ad affrontare (ammesso e non concesso che ne siano ancora in grado) una fase di riflessione, o se vogliamo di introspezione, per cercare di fare il punto della situazione, i cosiddetti cocci da raccogliere (da soli o supportati da qualcuno o qualcosa). Qui si apre il vaso di Pandora: può succedere di tutto o semplicemente niente. Durante le fasi centrali dei riti di passaggio gli iniziati devono superare delle prove, spesso umilianti e pericolose, nelle quali vengono loro rivelati alcuni segreti da parte degli anziani o subiscono delle mutilazioni o scarificazioni rituali che certificano simbolicamente il passaggio di status. Quindi il rito modifica simbolicamente e fisicamente il novizio, il quale porterà dentro e su di sé i segni di questa esperienza che si manifesta così, anche nella dimensione esterna reale. Nel caso del “Crusoe” di turno, salvo casi particolari, l’azione, o se vogliamo l’elaborazione del cambiamento, spesso accompagnato da sofferenza, si sviluppa principale nella sfera individuale e, a differenza dell’iniziato, non comporterà una scontata reintegrazione tra i ranghi sociali con i gradi di chi “ce l’ha fatta” e neppure una cicatrice esterna da esporre con fierezza. Ciononostante, il paragone può reggere ancora se consideriamo questa elaborazione del cambiamento come una rimappatura dei propri punti di riferimento e delle priorità nella vita di una persona. Una sorta di nuova esplorazione di se stessi e delle possibilità del caso, dallo studio empirico delle maree e dell’eventualità di una prematura dipartita, come nel caso di Cast Away (fortuna sua che l’esperimento con il manichino fallì), che assomiglia molto all’acquisizione di una nuova identità sociale, con nuove responsabilità, nuovi diritti, nuove competenze, nel caso dei giovinetti sottoposti ai riti di passaggio.

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    2. Nella filmografia moderna esistono numerosi esempi di “cornuti e abbandonati” che cercano di rifarsi una vita: di solito le donne cambiano look ed escono con le amiche e gli uomini si mettono a dieta e riesumano la moto dal garage. Anche se banali e maccheronici, questi cliché cinematografici rappresentano quella necessità di rinnovamento e di ricerca di nuovi stimoli/punti di riferimento, che sostituiscano quelli precedenti. La connessione con la sfera esterna in questo caso, non è mediata culturalmente dai segni sul corpo o dalla nuova identità forgiata durante il rito, ma bensì è semplicemente la “manifestazione somatica” del cambiamento in atto nella dimensione individuale: anche se coltiva una vita interiore in una dimensione personale, l’uomo fa sempre parte della dimensione reale terrena, dove il corpo agisce da interfaccia, da medium, tra le due realtà (quante volte i nostri cari si rendono conto del nostro umore anche solo da come li salutiamo. Per non parlare delle mamme).
      Alla luce di quanto detto, sembra proprio che l’evento in sé del naufragio costituisca il catalizzatore del processo stesso di cambiamento, indipendentemente che sia una tappa della vita sociale prescritta da gli usi e costumi di una determinata società o un incidente di percorso: anche nella parlato comune si dice “quel fatto mi ha cambiato...ne porto ancora i segni”. Quindi, volendo adottare una prospettiva pragmatica, inguaribilmente ottimista e un po’ naif, possiamo affermare che il naufragio e il rito di passaggio, costituiscono un’opportunità di rinnovamento (opportunità un po’ forzata a dire il vero, noi veneti diremmo “basa sto cristo o salta sto fosso”), da leggere in chiave pro-attiva in direzione di un miglioramento individuale. Il povero Chuck Nolan avrà perso pure l’amore della sua vita, che tra l’altro dovrà ricostruire ex novo, ma almeno non è più schiavo dell’orologio e dei piani di consegna come prima dell’incidente (e sicuramente una capatina dalla signora del furgone non se la farà mancare, d’altra parte la qualità del servizio è fondamentale). Ci sarebbero molti altri aspetti da approfondire, come il concetto di isola come fuga dalla realtà in contrasto con una fisiologica nostalgia di casa. Oppure il concetto di esoticità stesso dell’isola: sole, acqua cristallina, frutti raccolti dall’albero, pesce pescato a mani nude… ma nessuno pensa mai alla stagione dei monsoni, alla dissenteria, alle bestie che ti strisciano addosso di notte ecc.. Parlando poi del film della Werthmuller, ogni antropologo non può non sproloquiare sul concetto di schismogenesi e dell’inversione dei ruoli nel rituale di travestimento Naven, presso gli Iatmul in Nuova Guinea, descritto da Bateson, che in psicologia è noto per il concetto di doppio vincolo nei casi di schizofrenia.
      Ma questa è un’altra storia….

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    3. Questa immagine di lui o di chi sa chi

      attaccato ad un legno,

      naufrago in mezzo ad un oceano

      era molto intensa e tridimensionale.

      Faceva da punto di unione

      di tutta una serie di dinamiche e di sentimenti.

      La cosa più bella e più positiva

      di tale immagine

      era che gli dava il senso del tempo:

      quel naufrago attaccato al legno

      con tutta la tristezza della sua condizione precaria

      era un essere umano felice,

      rappresentava la felicità

      perlomeno per lui.

      Certo quel naufrago aveva paura

      ma la paura consisteva nel fatto che

      qualcuno vedendolo

      avrebbe potuto farsi prendere dalla tentazione di soccorrerlo

      togliendolo dal suo stato di felicità,

      spostandolo dal suo percorso inevitabile

      della corrente marina

      che prima o poi lo avrebbe portato

      verso il suo destino inevitabile.

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    4. Ciao, io sono Theresa Williams Dopo essere stato in rapporto con Anderson per anni, ha rotto con me, ho fatto tutto il possibile per riportarlo indietro, ma tutto è stato vano, lo volevo indietro tanto per l'amore che ho per lui, lo pregai con tutto, ho fatto promesse, ma ha rifiutato. Ho spiegato il mio problema al mio amico e ha suggerito che dovrei piuttosto contattare un mago che potrebbe aiutarmi a un incantesimo per riportarlo indietro, ma io sono il tipo che non ha mai creduto nel periodo, non avevo altra scelta che tentare, io mail il mago, e lui mi ha detto che non c'era problema che tutto andrà bene prima di tre giorni, che il mio ex tornerà a me prima di tre giorni, ha gettato l'incantesimo e sorprendentemente nel secondo giorno, era circa 4:00. Il mio ex mi ha chiamato, ero così sorpreso, ho risposto alla chiamata e tutto quello che disse era che lui era così dispiaciuto per tutto quello che è successo che voleva me di tornare a lui, che mi ama così tanto. Ero così felice e sono andato a lui che era così che abbiamo iniziato a vivere insieme felicemente di nuovo. Da allora, ho fatto promessa che nessuno che conosco che hanno un problema di rapporto, vorrei essere di aiuto a tale persona da lui o lei riferendosi al l'unico mago reale e potente che mi ha aiutato con il mio problema. e-mail: drogunduspellcaster@gmail.com lui si può e-mail se avete bisogno il suo aiuto nel vostro rapporto o di altri casi.

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